Corruzione, chiesti 9 anni per l’ex direttore dell'Agenzia delle Entrate

Per il pm ha preso denaro da alcuni imprenditori bresciani per ammorbidire multe o evitare loro controlli fiscali
L'ex direttore dell'Agenzia delle Entrate è accusato di corruzione
L'ex direttore dell'Agenzia delle Entrate è accusato di corruzione
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Nove anni. Sono quelli che per il sostituto procuratore Marzia Aliatis dovrebbe scontare in carcere l’ex direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Brescia Generoso Biondi. Secondo quanto ricostruito dagli uomini della Guardia di Finanza, nell’ambito del filone «corruzione» della maxi inchiesta Leonessa, Biondi si sarebbe fatto corrompere per ammorbidire o evitare controlli fiscali ad alcune aziende e imprenditori bresciani impegnati in contenziosi tributari originati da illeciti penali. Per la pubblica accusa, tra le altre cose, Biondi si sarebbe fatto promettere 12mila euro e una modesta macchina fotografica da 319 per impedire le conseguenze di un accertamento dell’Agenzia delle Entrate che aveva contestato all’imprenditore favorito indebite compensazioni di crediti fittizi per 700mila euro.

Millantato credito

Accusato anche di abuso d’ufficio, per aver impedito l’approfondimento di una verifica fiscale che avrebbe determinato maggiori ricavi in capo ad un’azienda tessile, Biondi ha incassato la richiesta di assoluzione da parte del pm con riferimento alla corruzione più pesante tra quelle che gli venivano contestate. L’ex direttore dell’Agenzia era accusato di essersi diviso con il funzionario del Fisco Alessandro De Domenico e con il luogotenente della Gdf Francesco Liguoro (che ha già patteggiato 4 anni) una mazzetta da 50mila euro per consentire ad un imprenditore condannato dalla Commissione Tributaria a pagare 21 milioni di euro, e morto nel corso del processo, di chiudere la sua posizione versando solo il 5% dell’imponibile delle fatture false contestate alla sua società e quindi di cavarsela con poco meno di un milione e mezzo di euro di multa.

Nel corso della sua deposizione davanti al collegio presieduto da Roberto Spanò, nell’udienza dello scorso febbraio, De Domenico ha dichiarato di aver preso denaro dall’imprenditore, ma di non averlo utilizzato per sistemare la sua vertenza, né per corrompere il direttore dell’Agenzia. Ma di aver millantato credito nei suoi confronti e, di fatto, di aver ingannato il suo interlocutore.

Riqualificazione dell'accusa

Alla luce di questa ricostruzione è stato lo stesso pm a riqualificare l’accusa nell’ipotesi più mite di traffico di influenze illecite, reato che all’epoca dei fatti (il 2018) era punito nel massimo con 3 anni di reclusione e per il quale oggi il funzionario del Fisco potrebbe chiedere la messa alla prova. Se sia questa la strada che De Domenico intenderà percorrere è presto per dire. Insieme al suo difensore, l’avvocato Giuseppe Pesce, il funzionario delle Entrate, che in seguito all’inchiesta passò diverse settimane in carcere, ha tempo fino alla udienza in calendario il 21 dicembre per decidere i suoi prossimi passi.

Sempre il 21 dicembre dovrebbero conoscere il loro destino gli altri quattro imputati, ovvero il maresciallo della Gdf Antonio Pavone, il consulente del lavoro Pietro Santo Simonini, il funzionario delle Entrate Giovanni Zapparata e il finanziere Pasquale Giovanni Castaldo. Il pm ha chiesto di condannare il primo a 6 anni e 2 mesi, per due ipotesi di corruzione ed altrettante di favoreggiamento; il secondo a sei anni, per aver corrotto Biondi; il terzo ad un anno e mezzo, per abuso d’ufficio e di assolvere il quarto.

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