Coronavirus, la variante italiana e quella inglese sono «sorelle»
La variante italiana del virus SarsCoV2 isolata a Brescia lo scorso agosto è «sorella» della variante inglese: entrambe discendono da un antenato comune, ma le loro strade evolutive si sarebbero separate già lo scorso marzo.
È quanto emerge dallo studio genetico pubblicato sulla rivista The Lancet Infectious Diseases dal gruppo di Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia e docente di microbiologia clinica all'Università di Brescia, in collaborazione con Massimo Ciccozzi, ordinario di statistica medica ed epidemiologia molecolare all'Università Campus Bio-Medico di Roma.
Sia la variante italiana (N501T) che quella inglese (N501Y) presentano una mutazione della proteina Spike nella posizione N501, ma se la variante britannica ha sostituito l'amminoacido originario con una tirosina, un altro amminoacido, il virus italiano lo ha invece rimpiazzato con una treonina.
«In questi giorni stiamo completando uno studio che ci permetterà di vedere cosa cambia nella struttura 3D della proteina Spike, un'informazione importante anche per capire se ci saranno conseguenze sull'efficacia dei vaccini», spiega Ciccozzi. Per sapere se anche la variante italiana è caratterizzata da una maggiore contagiosità bisognerà invece attendere fino a fine mese, quando saranno conclusi i test di laboratorio sulle cellule.
«Al momento non sappiamo quanto sia diffusa in Italia o se ci siano altre varianti italiane in circolazione, perché il nostro Paese, a differenza della Gran Bretagna e del Sud Africa, non ha un sistema di sorveglianza basato sul sequenziamento del genoma virale», sottolinea Ciccozzi. La stessa variante bresciana è stata trovata solo grazie a Caruso, che ha deciso di approfondire il caso di un paziente 59enne con un'infezione da Covid persistente: esaminando il suo tampone di agosto e poi un tampone successivo eseguito a novembre, è emerso che il virus in quei pochi mesi aveva già accumulato altre tre mutazioni. «È plausibile che i pazienti che mantengono il virus nel proprio corpo per periodi lunghi inducano mutazioni importanti, dovute alla forte pressione selettiva esercitata dal sistema immunitario: anche i ricercatori che hanno isolato la variante del Sud Africa stanno battendo la stessa pista», conclude Ciccozzi.
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