Concordia, il sub soccorritore: «Mai vista una cosa così»
Un ambiente tremendamente ostile, mai visto prima. Così Corrado Camerini, medico nefrologo bresciano di 65 anni, ricorda l’interno del relitto della Costa Concordia, dove dieci anni fa fu chiamato a coordinare i 19 sub del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, intervenuti a poche ore dal naufragio all’Isola del Giglio. «Il nostro obiettivo era salvare vite. Ma più passavano le ore, più le speranze si affievolivano. Finché ci è stato consentito, cioè per circa una settimana, abbiamo perlustrato ogni angolo del ponte 4 al centro della nave, quello delle scialuppe, di cui ci era stata affidata la bonifica».
Camerini, che all’epoca era responsabile nazionale del soccorso speleologico (e oggi lo è ancora in Lombardia, dopo anni alla guida della Scuola nazionale direttori delle operazioni di soccorso), ha ancora in mente con chiarezza le difficoltà di uno scenario che, assicura, «era inedito, una situazione che nessun soccorritore intervenuto al Giglio aveva mai vissuto prima». Penetrati nella pancia della nave attraverso i varchi che gli incursori della Marina avevano ottenuto facendo esplodere alcune vetrate, gli speleosub per una settimana si sono immersi in acqua giorno e notte, seguendo una turnazione h24.
«L’ostacolo più grande era la visibilità: in acqua galleggiava di tutto. Residui di cibo (tonnellate di scorte stipate per sfamare cinquemila persone per giorni), sedie, divanetti, oggetti di ogni tipo. Un problema non solo per quello che non vedevamo, ma anche un ingombro ai movimenti e ai passaggi che erano estremamente complicati. Senza contare che l’inclinazione della Concordia aveva trasformato le pareti dei corridoi in soffitti e pavimenti, per cui orientarsi non era per nulla facile».
Non era invece un deterrente per gli uomini del Cnsas il buio: «Essendo abituati ad operare in grotte di montagna, ci hanno chiamati proprio perché eravamo già in grado di lavorare in assenza di luce, muovendoci in modo coordinato solo con le torce». E l’acqua gelida, considerato che era pieno inverno? «La temperatura del mare era l’ultimo dei problemi: per noi 5 gradi centigradi in acqua non sono proibitivi, anche perché indossiamo sottomuta termici e mute stagne. Siamo stati coinvolti proprio per la nostra preparazione a lavorare in queste condizioni proibitive». Un’esperienza che, per quanto drammatica, è stata utile in vista di altre emergenze in cui le stesse squadre sono intervenute, tra cui il terremoto di Amatrice nel 2016.
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