Con la Polizia l'educazione digitale s'impara a teatro
Qual è il pericolo a cui va incontro un bambino o una bambina che, pur non avendo ancora compiuto i 13 anni richiesti dalle piattaforme social per l’iscrizione, si crea un profilo? «Il rischio è che si abitui a vestire i panni di un personaggio prima ancora di aver compiuto il normale percorso per diventare lei stessa o lui stesso una persona».
Un essere umano il cui senso di soddisfazione è spesso e volentieri legato, quando non dipendente, da quella gratificazione istantanea che porta il nome di «like»: like alla foto, like al video, like alla storia.
Ieri sera al teatro Sociale lo scrittore-poliziotto Domenico Geracitano ha lanciato un appello ai genitori, ai nonni, agli educatori e, in generale, al mondo degli adulti, ovvero a quegli «immigrati digitali» che dovrebbero essere i primi a interessarsi e a conoscere a fondo il grande continente dei social e di internet, i primi a fare le regole per i ragazzi, i primi a dare l’esempio. I primi, insomma, ad accompagnare i figli in questa «seconda, grande rivoluzione culturale».
Sul palco è andata in scena «Coltiv@rete» una conferenza teatralizzata organizzata dalla Questura di Brescia nell’ambito del progetto «PretenDiamo legalità», il cui obiettivo è la diffusione della cultura dei valori civili quali il rispetto delle regole, la solidarietà e l’inclusione.
Verso il finale della conferenza teatralizzata da Geracitano è arrivata come un dardo sulla platea la domanda: «Siamo noi a crescere i nostri ragazzi oppure è lui, internet?». Internet che, chiedendo l’accesso alla rubrica, alla galleria immagini, alla geolocalizzazione e via dicendo, si impossessa dei nostri dati e arriva a conoscerci a fondo, forse meglio di chiunque altro. Lo stesso fa con i nostri figli, arrivando ad entrare in sintonia con loro a tal punto da influenzare le loro scelte e condizionare profondamente le loro vite.
«Occorre insegnare ai ragazzi a coltivare la loro web reputation - ha affermato Geracitano - e solo attraverso l’educazione lo si può fare». Un concetto questo, che assume un’importanza assoluta se si pensa che in Italia la prima causa di suicidio tra gli adolescenti è proprio il cyberbullismo.
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