Circa il 70% di medici e infermieri bresciani ha aderito allo sciopero

Si è protestato per la crisi di diversi reparti, per le condizioni di lavoro, i compensi e l'incapacità di incentivare i professionisti
Personale sanitario in sciopero a Milano - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Personale sanitario in sciopero a Milano - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Reparti sempre più scarni, specializzandi che scelgono attività meno sacrificanti, un gap generazionale sempre più ampio che nei prossimi anni diventerà una voragine. Sono questi alcuni dei principali motivi che ieri hanno spinto centinaia tra medici e infermieri bresciani a incrociare le braccia. Uno sciopero inedito - tanto sul piano nazionale quanto su quello locale - per numeri, convinzione e coscienza dei problemi. E se in alcune regioni si sono toccate anche punte dell’85%, secondo le prime stime a Brescia ha aderito allo sciopero circa il 70% del personale sanitario

«È stato sicuramente uno sciopero sentito anche a Brescia», commenta la dottoressa Giuliana Martini dell’Anaao, il sindacato maggiormente rappresentativo della medicina pubblica. Perché dei problemi italiani sulla sanità non è certo esente la città della Loggia: «A Brescia sono in crisi i reparti di chirurgia, di rianimazione, l’anestesia, la radiologia, il Pronto soccorso - spiega Martini -, qui non entrano neanche gli specializzandi, che invece tendono a scegliere reparti dove le attività sono più tranquille. Anche i servizi, come i laboratori, sono poco scelti; quest’anno a Brescia, ad esempio, non è entrato nessuno».

Un corteo a Milano - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un corteo a Milano - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

E la presenza capillare dell’Università degli studi di Brescia ha solo in parte lenito l’emergenza, perché nessuno può controllare le legittime scelte degli specializzandi. A Brescia lo sciopero fino a mezzanotte di ieri è scorso senza clamori ma ha fatto ugualmente molto rumore, a dimostrazione che se il sistema sanitario si ferma è la stessa comunità a paralizzarsi, in qualche modo. La sensazione è che per medici e infermieri la misura sia ormai colma (da tempo) e che servano interventi immediati: «Il futuro è incerto. O si trova sistema di attirare o non sappiamo come potrà reggere il sistema sanitario nazionale».

Fuga all’estero e gap generazionale

Professioniste sanitarie in sciopero - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Professioniste sanitarie in sciopero - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Le soluzioni non sono mai univoche, come ribadito a più riprese da medici e infermieri negli ultimi anni: perché da una parte c’è il compenso ma dall’altra ci sono le condizioni lavorative. «Parecchi stanno andando all’estero perché gli stipendi sono migliori - prosegue Giuliana Martini -, aumentarli sarebbe di certo un incentivo. Ma c’è anche un problema di qualità, perché quando non c’è un numero sufficiente di personale in un reparto le condizioni peggiorano di conseguenza».

L’ultimo punto contestato dal personale sanitario è quello del gap generazionale nato a seguito dell’emergenza sanitaria. Oggi non c’è il tempo di formare adeguatamente con anni di esperienza i giovani assunti «così quando tra qualche anno andranno via medici e infermieri più esperti si creerà anche un problema di adeguate competenze». Ecco perché non c’è più tempo e i prossimi mesi potrebbero essere contraddistinti da altre, massicce, mobilitazioni.

Le ragioni dello sciopero nazionale

Stanchi, delusi e arrabbiati. Così si descrivono da Nord a Sud medici, infermieri, ostetriche e dirigenti sanitari in protesta «per la totale mancanza di rispetto nei confronti di una intera classe professionale». Nel mirino è finita la legge di bilancio, rea di peggiorare ulteriormente la qualità del lavoro, ma il personale sanitario a più riprese ha voluto rimarcare il carattere più generale della protesta, che affonda le radici in un disagio lungo anni.

Per i rappresentanti del comparto «non è solo questione di soldi, ma di condizioni di lavoro inumane che non riusciamo più a sostenere. Le nostre parole d’ordine sono poche e chiare: uscire dalla Pa riconoscendo per i medici e dirigenti sanitari la categoria speciale, depenalizzare l’atto medico, finanziare adeguatamente il contratto, detassare parte dello stipendio». E a fronte di una politica che per gli addetti ai lavori dequalifica il settore, «si sovvenziona la sanità privata, interessata solo ai propri profitti».

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