Chernobyl, spartiacque del XX secolo

In Italia il disastro condizionò il Referendum sul nucleare del 1987, che decretò la chiusura degli impianti nel nostro Paese
Una foto della centrale esplosa nel 1986 - © www.giornaledibrescia.it
Una foto della centrale esplosa nel 1986 - © www.giornaledibrescia.it
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È la serie tv europea più vista di sempre. I numeri che hanno fatto entrare «Chernobyl» nel gotha della cinematografia del XXI secolo sono un termometro. Come quello esploso nella centrale alle ore 1:23:45 del 26 aprile 1986. È la misura dell’impatto del disastro nucleare nell’opinione pubblica, uno shock che 33 anni fa ha sconvolto il mondo. E che ancora oggi è impresso nella memoria collettiva.

C’è chi ricorda le immagini in tv, chi chiuse le finestre, smise di mangiare vegetali e abbandonò i propri orti per giorni. Il rischio di contaminazione era invisibile agli occhi ma invasivo come una lama nel fianco. Ma c’è anche chi - troppo giovane - sullo schermo ha vissuto quell’atmosfera tesa e ansiogena, lenta e logorante. «Chernobyl» è neorealismo. Le sue immagini non sono patinate, nei dialoghi non c’è barocchismo. E lo spettatore diventa abitante di Prypiat.

Sui titoli di coda viene voglia di lavarsi, tanta è la percezione della contaminazione. Tutto finto, ma altrettanto vero. L’esplosione di Chernobyl è uno spartiacque del XX secolo: in Italia il disastro condizionò il Referendum sul nucleare del 1987, che decretò la chiusura degli impianti nel nostro Paese. L’ultimo segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Gorbaciov confessò che «fu quel disastro a causare la fine dell’Urss». E se ci fosse una seconda stagione sulla realtà distopica senza la strage di Chernobyl? E se non fosse mai accaduta? 

 

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