Catullo, il bivio della Provincia: 45 giorni per decidere se investire o perdere quota
Che sarebbero serviti altri soldi, lo si sapeva già da mesi. Il punto è: risultati alla mano, vale la pena di metterli sul piatto oppure no?
È questo il bivio di fronte al quale si trova la Provincia rispetto alla Catullo, la società che gestisce gli aeroporti di Verona e di Montichiari. Dopo quello di 35 milioni di euro approvato nel 2021, ieri infatti l’assemblea degli azionisti ha approvato un nuovo aumento del capitale sociale che vale 30 milioni di euro. Fondi, questi, che servono per gli investimenti sull’aerostazione legati al progetto Romeo per ampliare il terminal.
Ma se Provincia e Camera di commercio di Verona hanno già conclamato un sì certo - come la Provincia di Trento - Brescia si è presa tutto il tempo a disposizione. Il countdown è iniziato: il verdetto va comunicato entro 45 giorni.
Priorità
«L’aeroporto di Montichiari è una infrastruttura strategica che, se sviluppata, porterebbe un grande contributo ai sovraffollati aeroporti lombardi, diventato un punto di riferimento per la Lombardia orientale. Le potenzialità di questo aeroporto, già ampiamente evidenziate negli anni, garantirebbero anche uno sviluppo economico per il territorio» è la posizione del presidente della Provincia, Emanuele Moraschini. Che tuttavia fa notare: «Per ottenere questi risultati è però necessario che non solo la Provincia, ma tutto il Sistema Brescia si muova in quella direzione». Il numero uno del Broletto non si sbilancia sulla decisione finale, ma dalle sue parole emerge, seppur in modo sfumato, qualche perplessità: «Avevamo deciso di rimanere nella compagine con una piccola quota per essere sempre aggiornati sugli sviluppi e sul futuro dell’aeroporto, che, nonostante tavoli, incontri e proposte, continua a permanere in una fase di stallo. In questi giorni il confronto con i consiglieri provinciali è in corso e presto prenderemo una decisione in merito».
Moraschini d’altro canto rappresenta una maggioranza bipartisan: i passaggi politici sono cruciali. La prossima settimana il centrosinistra ha in agenda un momento di confronto, così come il centrodestra. In entrambi i casi, stando a una prima ricognizione informale, l’orientamento sembrerebbe proprio essere quello di non contribuire a questo aumento di capitale. Gli elementi e le ragioni (per ora ancora informali) che sono emersi sono sostanzialmente due. Il primo: al portafoglio bresciano questa mossa costerebbe circa 600-700mila euro, risorse molto preziose per una Provincia che non naviga nell’oro e che soprattutto - hanno fatto notare i consiglieri in modo bipartisan - in questo momento ha altre priorità a cui guardare. Il secondo aspetto è che stando fuori da questa ricapitalizzazione, Brescia non ne uscirebbe particolarmente depotenziata secondo i consiglieri. In cifre, si passerebbe da una partecipazione del 2,6% a una che - stando alle stime - oscillerebbe tra l’1,8 e l’1,6%.
Concessione pubblica
Il nuovo aumento di capitale, però, è al centro delle discussioni anche perché potrebbe segnare il ridimensionamento della partecipazione pubblica e, a cascata, la potenziale crescita conseguente della quota di maggioranza detenuta dalla Save di Enrico Marchi. Bisogna capire come si muoverà il Comune di Verona, che si trova alle prese con problemi di bilancio e che ad oggi detiene il 4,6%. Il secondo attore su cui sono puntati i fari è la Fondazione CariVerona, che a giugno aveva già ufficializzato la volontà di vendere la sua partecipazione (3,01%). Un puzzle al quale si potrebbe aggiungere anche il tassello bresciano.
Da un punto di vista tecnico, una volta deliberato l’aumento, i soci - ovvero Save; Provincia di Trento; Camera di commercio, Provincia e Comune di Verona; Fondazione CariVerona; Provincia di Bolzano e Provincia di Brescia - hanno tempo fino al 30 novembre per esercitare. A quel punto, nel caso in cui alcune azioni risultassero inoptate per la mancata o parziale sottoscrizione di alcuni soci, l’eventuale quota che dovesse consentire a Save di superare il 50,01% del capitale andrebbe messa a gara. Su questo Anac, avvocati e sentenze sono stati cristallini: la concessione è stata affidata a una maggioranza pubblica, dunque non si può prescindere dal bando. Il prezzo di emissione partirà da 23,70 euro per azione, cifra definita dal Consiglio di amministrazione sulla base di una valutazione firmata dalla società Intermonte.
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