Caso pm di Milano, la Procura di Brescia riapre le indagini
La Procura di Brescia ha chiesto altri 6 mesi per approfondire alcuni aspetti dell'inchiesta sui magistrati milanesi, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, in cui il procuratore aggiunto e il sostituto sono accusati di omissione d'atti d'ufficio, nell'ipotesi che abbiano nascosto prove utili alla difesa nel procedimento per corruzione internazionale Eni-Nigeria (poi finito in primo grado con un'assoluzione). Lo scrive oggi Il Fatto Quotidiano.
Secondo quanto scrive il quotidiano «la riapertura dell'inchiesta dopo che agli indagati è già stato notificato l'atto di chiusura delle indagini è un fatto raro e inusuale. Ma questa volta il procuratore di Brescia Francesco Prete e il suo sostituto Donato Greco hanno chiesto altro tempo dopo aver sentito i due Pm milanesi che, ricevuto l'avviso di fine indagini il 9 ottobre, si erano fatti interrogare a inizio dicembre». Ora i magistrati della Procura bresciana scrivono che «in sede di interrogatorio reso dagli indagati è emersa la necessità di compiere ulteriori indagini».
Cos'è successo fino a qui
De Pasquale e Spadaro, assistiti dall'avvocato Caterina Malavenda, si erano difesi dall'accusa di non aver depositato «in favore delle difese» le chat rinvenute sul cellulare di Vincenzo Armanna (uno degli imputati del processo Eni-Nigeria) anche sostenendo «l'impossibilità tecnica di frammentare la copia forense del telefono» e quindi di depositare «le sole predette conversazioni, senza dover necessariamente disvelare l'intero contenuto del dispositivo». Ora «appare pertanto necessario effettuare una consulenza», proseguono i Pm di Brescia, «per verificare tale circostanza, ossia la possibilità tecnica di estrapolare dalla copia forense di un dispositivo solo alcuni dati di interesse».Nel loro interrogatorio del 1 dicembre, De Pasquale e Spadaro hanno anche sostenuto «una conduzione singolare delle indagini» da parte di Paolo Storari, il Pm milanese titolare insieme al Procuratore aggiunto Laura Pedio dell'inchiesta sul cosiddetto complotto Eni (e anch'egli indagato a Brescia con l'accusa di rivelazione di segreto, per aver fatto uscire i verbali dell'avvocato esterno di Eni, Piero Amara): una conduzione «non centrata sulle ipotesi di reato in contestazione» in quel fascicolo, «ma finalizzata a screditare l'attendibilità delle dichiarazioni rese da Armanna nell'ambito del processo Eni-Nigeria».
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