Caso Caffaro, il riassunto delle puntate precedenti
Ma la Caffaro non era già chiusa? La domanda si rincorre tra i bresciani e arriva in redazione. Sullo sfondo, una vicenda che si fa sempre più intricata e che nell'ultimo mese ha visto il sito di via Milano calcare le cronache, complice l'effetto matrioska che ha fatto confluire problematiche diverse - seppur legate tra loro sotto l'insegna Caffaro - sulla stessa identica linea temporale. Al punto che, per fare ordine nel piano sequenza dei fatti, è necessario dividere i casi in (almeno) tre diversi filoni.
Uno: la ditta in affitto. All'interno della cittadella industriale, con l'ingresso in via Nullo, lavorano attualmente due aziende: la Csa di Rovigo, che occupa pochissimi spazi, e la Caffaro Brescia srl. L'attenzione va su quest'ultima, che si occupa della produzione di clorito di sodio, un disinfettante che serve per la potabilizzazione delle acque, prodotto che vede il gruppo di casa a Brescia leader del mercato europeo. Il clorito ha una lavorazione articolata in diversi step: in uno di questi passaggi si usa anche il cromo. Non come materia prima, ma come additivo. In cifre: per 20mila tonnellate di clorito di sodio la quantità di cromo è inferiore alla mezza tonnellata. Non solo. Caffaro Brescia (che ha annunciato il trasloco a Bussi nel 2021) svolge una funzione collettiva fondamentale, perché si occupa di mantenere attiva la barriera idraulica che fa da schermo ai veleni che altrimenti continuerebbero a infestare la falda cittadina (pompando 108 miliardi di litri di acqua per un costo che la ditta quantifica in 1,1 milioni di euro all'anno).
Dal 2017, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa) stava conducendo indagini nel sito per capire come mai si riscontrano livelli di cromo esavalente superiori rispetto a quelli già noti sulla scorta dell'inquinamento passato. Dopo uno studio approfondito, l'Arpa ha concluso che «c'è nesso causale tra l'impianto e la contaminazione delle matrici». L'epicentro del problema potrebbero essere due delle quattro vasche contenenti cromo VI delle quali la società ribadisce di non essere proprietaria. Lunedì 14 ottobre la Provincia ha quindi diffidato la ditta, sospendendole l'Autorizzazione integrata ambientale senza la quale i macchinari devono rimanere spenti e, quindi, la produzione non può proseguire. I vertici di Caffaro Brescia hanno presentato un ricorso al Tar (l'esito è previsto il 6 novembre) e si sono resi disponibili a intervenire sulle cisterne.
Due: la ditta del Pcb. La Caffaro che tutti abbiamo in mente non ha nulla a che vedere con l'azienda che oggi sta di casa in via Nullo. Di cognome fa Chimica (vecchia Snia) e ha infestato la città con Pcb, cromo, metalli pesanti, diossine, mercurio, arsenico, tetracloruro di carbonio.
L'acqua emunta nella vecchia fabbrica di via Milano, avvelenata dalle sostanze tossiche, è stata scaricata per anni nella roggia Fiumicella, da cui si attingeva per irrigare i campi. Anche per questo l'inquinamento oggi è esteso a 260 ettari di terreni, a valle del polo produttivo. Caffaro Chimica (è entrata in funzione nel 1906 e produceva i policlorobifenili, ha poi chiuso l'impianto nel 1984) è stata svuotata e scorporata: uno degli esiti di questo passaggio fa nascere, nel 2004, Sorin biomedicale che è poi confluita nella multinazionale americana LivaNova che la sentenza della Corte d'Appello di Milano ha condannato a risarcire lo Stato per l'inquinamento causato. Al momento il dossier e i creditori di Snia-Caffaro sono gestiti dal curatore fallimentare Marco Cappelletto.
Lunedì 7 ottobre, sulla scorta dei rilievi che hanno evidenziato «ingenti perdite di mercurio fuoriuscito da tubature e silos abbandonati», l'Arpa ha sequestrato un capannone. Così come per il cromo, anche in questo caso i rifiuti pericolosi vanno rimossi e l'iter amministrativo si è messo in moto.
Tre: Procura e bonifica. La Procura ha aperto due fascicoli: uno per il caso cromo, l'altro per il mercurio. Dopo aver ottenuto nuovi rilievi da Arpa - e per permettere nuovi accertamenti irripetibili - ha proceduto con l'iscrizione di 8 persone nel registro degli indagati, tra cui i due commissari (Roberto Moreni che ha la regia del Sin per il Ministero e Cappelletto), i vertici e i delegati di entrambe le aziende: Caffaro Chimica e Caffaro Brescia.
Nel frattempo, anche a causa di queste emergenze, l'iter legato alla bonifica del sito industriale è incimpato nella dialettica politica che vede Loggia e Ministero in sintonia sull'obiettivo: entrambi vogliono cioè approvare il progetto operativo entro dicembre, così da procedere con il disegno esecutivo e la gara. Ma sul metodo le vedute restano per ora distanti: Roma è certa che il Comune - come peraltro già annunciato in passato - debba acquisire l'area alla svelta, perché «lo Stato non può pagare 97 milioni di bonifica a un privato che ha inquinato»; la Loggia vuole più garanzie e punta ad acquisire lo spazio a bonifica ultimata. Per risolvere questa contesa, oltre agli incontri tecnici, il sindaco Emilio Del Bono e il ministro Sergio Costa si incontreranno il 12 novembre negli uffici romani in via Colombo.
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