Campi inquinati dal Pcb della Caffaro: 5 scenari per curarli

I risultati degli scienziati sono ora sul tavolo della politica: ecco i costi di ogni opzione proposta
Un tecnico impegnato nelle indagini sulle aree agricole del sito Caffaro - © www.giornaledibrescia.it
Un tecnico impegnato nelle indagini sulle aree agricole del sito Caffaro - © www.giornaledibrescia.it
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Inutile negarlo: nella ruota panoramica dell’emergenza, il destino di quelle terre è rotolato decisamente in fondo alla lista delle priorità. Del resto, prima - è il pensiero che ha guidato il percorso - bisogna disinnescare la bomba ecologica che più impatta sulla città e sulla vita quotidiana e, dunque, priorità alle aree verdi pubbliche, alle scuole e ai giardini per poi aggredire quella che il sindaco Emilio Del Bono da sempre battezza come «la madre di tutte le battaglie»: l’area industriale dalla quale si è sprigionato il cocktail di inquinanti che ha avvelenato il nostro territorio.

Ma di quei terreni, quelli agricoli tranciati a metà dalla «linea aginot» tracciata per perimetrare il Sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro anche se egualmente inquinati, nel frattempo qualcuno se ne è occupato, li ha studiati per anni e li ha (letteralmente) testati.

Quel «qualcuno» è il team di esperti di Ersaf, l’Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste. Che ha messo sul tavolo degli enti cinque proposte di intervento. O, meglio: quattro più una, per dirla con le parole dei tecnici che hanno lavorato al dossier. Una relazione, questa, che è ancora in attesa del parere di alcuni degli enti chiamati a valutarla (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, ad esempio, lo ha già fatto) e che è ora al centro di una serie di incontri tecnico-politici per stabilire quale strada intraprendere. Perché sì, vent’anni dopo lo scoppio del caso Caffaro, è ora di puntare i fari sui terreni agricoli.

Innanzitutto di che estensione stiamo parlando? Secondo la mappatura aggiornata dall’Arpa, complessivamente, risultano inquinati 597 ettari di terreni agricoli. L’analisi condotta dall’Ersaf guarda però al solo perimetro del Sin (in tutto 250 ettari, di cui 11 «occupati» dalla storica fabbrica). Che fare, dunque, per quei terreni e quali prospettive concrete si intendono dare a quegli (ormai ex) agricoltori (come Pierino Antonioli) che, ormai vent’anni fa, si sono visti spazzare via tutto il lavoro di una vita? A rispondere ci prova Ersaf. Presentando alle istituzioni cinque scenari. Il primo scenario (plausibile) a costo zero, classificato come «opzione zero», è il più semplice del mondo: non procedere con alcun intervento.

Opzione numero uno: il fitocontenimento, con trinciatura dei prati e manutenzione delle aree, lavoro che presenterebbe un preventivo di 50mila euro all’anno, tre milioni di euro per 60 anni. Opzione numero due: il ritorno alle attività agricole all’interno del quadrilatero del Pcb, procedendo cioè con la produzione di alcune colture giudicate «immuni» agli effetti dei policlorobifenili e perciò classificate come sicure. «L’eventuale utilizzo di coltivazioni di specie poliennali per la produzione di biomasse - si legge nello studio - potrebbe innescare una filiera produttiva alternativa alle produzioni agricole tradizionali e ridurre i rischi per le lavorazioni del terreno». Il preventivo? Per il conto corrente pubblico nessuno.

La variante numero tre è quella del bosco urbano, la cui nascita creerebbe una sorta di messa in sicurezza naturale. Una strada, questa, che piace alla politica e che vede al momento un sì pressoché bipartisan. Ma solo in parte. Questo perché la volontà politicamente condivisa di creare un bosco urbano riguarderebbe solo venti degli oltre cento ettari di campi agricoli che si trovano a sud del sito industriale Caffaro. La zona individuata (che andrebbe a caratterizzarsi con l’avvento di specie di piante autoctone) è quella situata più a nord, dove la contaminazione è maggiore. Per farlo, gli enti dovrebbero intavolare le trattative con i proprietari di quei campi. Il conto varierebbe da 100mila euro a un milione, ma servirebbe un contributo regionale: la prospettiva, infatti, guarderebbe a un piano di sviluppo rurale dal 2021-22 al 2027-28.

E se invece si volesse prendere in considerazione la quarta opzione, cioè l’intera estensione dei terreni agricoli? In questo caso la «fattura» salirebbe a 10.888.000 euro, incluso l’acquisto delle aree. Infine, l’ultimo scenario: bioremediation, soluzione che «rappresenterebbe l’applicazione in campo della sperimentazione condotta da Ersaf». I vantaggi? «Così - si legge nella relazione - si andrebbe a intervenire sulla riduzione della contaminazione nel suolo fino auspicabilmente al raggiungimento degli obiettivi di bonifica». Due i preventivi: senza acquisto delle aree (in questo scenario si parla di 54,9 ettari) si parla di un investimento di 14,5milioni, mentre acquisendo i terreni il conto sfiorerebbe i 20 milioni. E ora, parola alla politica.

 

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