C'è chi non ha ancora capito che bisogna stare a casa
L'assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, non ha usato tanti giri di parole: «L'unica arma che abbiamo, in mancanza di un vaccino e visto che stiamo usando farmaci sperimentali, per vincere contro il coronavirus, è rimanere a casa». Rimanere a casa. Perché, per dirla ancora con Gallera, «ridurre in maniera drastica ogni forma di attività sociale» è l'unico modo per contenere la diffusione del virus.
Gli articoli che riguardano i numeri dei contagi sono tra i più letti, lo dicono i dati con cui monitoriamo il nostro sito. E i dati, appunto, non dicono che la situazione sta migliorando, anzi. La situazione non migliora al punto che il governo, a due settimane abbondanti dalla notizia del «paziente 1» di Codogno, ha isolato la Lombardia e altre 14 province in Italia dove il numero di malati continua ad aumentare. «La circolazione sostenuta locale del virus è un elemento critico» ha detto il presidente dell'Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro.
L'epidemia non sembra almeno per ora rallentare, il sistema sanitario regge con uno sforzo incredibile di chi lavora negli ospedali e di chi, in una corsa contro il tempo, sta cercando di creare più posti in Terapia intensiva per accogliere i pazienti più gravi.
Il Coordinamento delle terapie intensive della Lombardia ieri ha parlato di «calamità sanitaria», aggiungendo che con questi numeri «una corretta gestione del fenomeno è ormai impossibile».
Sui social girano messaggi audio di medici e infermieri che raccontano in prima persona la drammaticità della vita in ospedale, «situazioni mai viste». Così come senza precedenti sono appunto le misure prese dal governo che sicuramente in prima battuta, complice la diffusione di una bozza del dpcm nella tarda serata di sabato, non ha fornito chiare indicazioni circa le regole da adottare in Lombardia.
Insomma, si può gridare contro il «giornalista terrorista», ma ci sono circostanze che vanno oltre il ragionevole dubbio: siamo nel pieno di una straordinaria emergenza.
Eppure, nonostante le misure del governo, nonostante gli appelli di chi lavora in ospedale, nonostante le partite che saltano e quelle che vengono giocate a porte chiuse, nonostante le scuole restino chiuse per un mese e mezzo, nonostante i quotidiani bollettini dei morti (a proposito, siamo a 366, sono genitori, nonni, zii, vicini di casa, amici di una certa età - in media 80 anni, secondo Angelo Borrelli, capo della Protezione civile - e con patologie pregresse), nonostante i posti di lavoro oggettivamente a rischio perché adesso bar e ristoranti devono davvero chiudere alle 18, c'è ancora chi non ha capito che bisogna restare a casa.
Basta vedere le piste del versante Trentino del Tonale: quelle sul territorio lombardo sono chiuse, dopo che ieri si sono visti assembramenti agli impianti, ma le altre non sono a digiuno di sciatori. Per non parlare le foto del lungolago di Iseo: certo, la domenica di sole e di clima primaverile invoglia a passeggiare, ma il serpentone non è di certo a prova di virus. E poi c'è il campetto di Mazzano, dove dei ragazzotti si fanno una bella partitella. Sabato sera, invece, è stata la movida bresciana a dirci che no, il concetto del «restate a casa» non era chiaro.
Non che rimanere a casa sia facile, tutt'altro. Ci sono i bambini da gestire, per dire, e sicuramente rinunciare ad avere rapporti sociali non è una passeggiata. Ma anche solo per rispetto di chi sta facendo l'impossibile negli ospedali dovremmo sforzarci.
Ci chiedono di evitare, ancora non ci hanno obbligato a stare a casa. Ma, di questo passo, chissà.
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