Burkina Faso, sforzi bresciani contro l'Hiv a rischio per i tagli regionali

Le infezioni da Hiv in Burkina Faso sono passate dal 7 al 2%. E sono ormai pochissimi i casi di trasmissione del virus al neonato dalle donne che partoriscono al Centro medico san Camillo della capitale. Un risultato del quale anche Brescia può andare fiera. Ma che ora alcuni tagli della Regione rischiano di mettere a repentaglio.
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Le infezioni da Hiv in Burkina Faso sono passate dal 7 al 2% negli ultimi anni. E sono ormai pochissimi i casi di trasmissione del virus al neonato dalle donne che partoriscono al Centro medico san Camillo che si trova nella capitale del Paese africano: grazie alla profilassi, la percentuale di piccoli che si infettano è scesa dal 50 al 2%. Un risultato del quale anche Brescia può andare fiera.

Infatti, dal 2003, esiste una collaborazione tra l’Università degli Studi di Brescia, gli Spedali Civili di Brescia e l’organizzazione non governativa Medicus mundi Italia con le strutture sanitarie della Vice-Provincia Camilliana in Burkina Faso.  Un accordo che ha permesso a decine di specializzandi in Medicina Tropicale, Pediatria e Malattie Infettive dell’Università di Brescia e di medici del Civile di lavorare insieme ai colleghi africani per curare migliaia di pazienti affetti da infezione da HIV.

Risultati che potrebbero subire pesanti battute d’arresto se chi ha garantito il finanziamento di progetti non fa fronte all’impegno. “Da domani – spiega padre Salvatore Pignatelli, direttore del Centro medico San Camillo di Ouagadougou – nelle nostre casse ci saranno centomila euro in meno, perché la Regione Lombardia, per ragioni di bilancio certamente comprensibili, finanzia solo la metà di un progetto di cura e di assistenza. I progetti portano soldi, fanno crescere la struttura per accogliere e curare e, se si interrompono,  ci lasciano soli con un contenitore vuoto che non è più in grado di continuare il lavoro iniziato”.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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