Brescia «capitale» virtuosa, recuperati migliaia di pasti
Per capire quanto poco ci importasse sprecare il cibo fino a qualche anno fa basterebbe concentrarsi sul nome che usavamo, mutuandolo d’Oltreoceano, per definire quella scatolina di cartone in cui qualche volta ci facevamo mettere via i resti della pizza «a metro» o i due etti di spaghetti allo scoglio avanzati: «doggy bag».
Come se fosse normale avanzare pizza, pasta, gamberi e poi magari pane, formaggio, torte a ogni pranzo e cena fuori, per darle in pasto a qualche povero bassotto onnivoro più di Lino Banfi in «Spaghetti a mezzanotte» e di Ugo Tognazzi in certe grandi abbuffate. Ora le chiamiamo più giustamente «food bag» o scatole di cibo. E non sono più l’oggetto della vergogna da camuffare anche nel nome, ma un valore economico ed ecologico per tutti. Lo è per i Comuni che non gettano più il surplus delle mense nei bidoni della spazzatura, per i clienti di supermercati e botteghe che beneficiano di sconti via app anti-sprechi, per tutte le persone cui viene consegnato un kit di recupero cibi e pietanze, se ne hanno bisogno.
Oggi, nella quarta Giornata internazionale della consapevolezza sugli sprechi e le perdite alimentari indetta dalle Nazioni Unite, all’orizzonte si accendono luci di speranza, tra iniziative pubbliche e attività private sulle buone pratiche che diventano business.
Contro gli sprechi
Cala lo spreco alimentare nel mondo, anche se in realtà accade pure per effetto dell’inflazione. Si compra meno e si butta meno: rispetto all’estate del 2002 gli italiani hanno ridotto gli sprechi del 25% con 469,4 grammi a settimana che finiscono nell’immondizia (125,9 in meno): 54,7 grammi in meno che a gennaio. Buttare meno cibo significa meno rifiuti, meno energia per trasporti e trattamento, consumo inferiore di risorse a monte: quelle che - impensabile fino agli anni del boom - vengono usate nella produzione degli alimenti che scadono o marciscono nei nostri frigoriferi, se viviamo senza consapevolezza. Certo, lo spreco alimentare resta comunque un’emergenza: «in Italia - afferma Mirco Cerisola, di Too Good to Go - si buttano 67 chilogrammi di cibo pro capite ogni anno».
Tra le società che offrono un servizio intermedio tra commercianti-ristoratori e consumatore, a Brescia ha preso piede Too Good To Go, che tramite app permette di localizzare gli esercizi commerciali che offrono cibo invenduto a fine giornata. Si sceglie da chi comprare e si ritira una magic box (a sorpresa) a un terzo del costo di vendita: pizza al taglio o porzioni di lasagne al costo di 5 euro, ad esempio, anziché 15. L’intermediario guadagna sui grandi numeri, l’esercente si ripaga dei costi di produzione.
La società fa sapere di aver «salvato» oltre 22.000 pasti da gennaio 2023 a oggi, nel Bresciano: 92.000 dal 2019 ossia «230.000 chili di emissioni di CO2 evitati». Una quindicina i negozi e le botteghe aderenti all’inizio, ora i partner sono più di 100: pane, pizza, pasticceria, box di cibo dei supermercati o di qualche gastronomia ma anche merce degli ortofrutta.
L'Osservatorio
Too Good To Go lancia oggi un Osservatorio sullo Spreco alimentare con le Università di Torino e RomaTre: perché «il Wwf ha stimato nel 2021 che il 40% del cibo veniva sprecato e contribuiva al 10% di emissioni di gas serra. La lotta allo spreco alimentare è la soluzione numero uno per risolvere la crisi climatica».
Quindi o mangiamo avidamente la pastasciutta fino all’ultimo come Totò in «Miseria e Nobiltà», o ne cuociamo meno (e magari con la tecnica del Nobel per la Fisica Giorgio Parisi spegnendo il fuoco, checché ne dicano gli chef) o pensiamo a come riutilizzarla domani.
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