Brescia «capitale» dei rifiuti speciali, il 20% va in discarica
Oltre 11 milioni di tonnellate. Come una gigantesca montagna di rifiuti, quasi venti volte la spazzatura prodotta nelle nostre case. La provincia di Brescia si conferma «capitale» dei rifiuti speciali, quelli prodotti da aziende e imprese, soprattutto dell’edilizia. Nella nostra provincia viene gestito più di un quarto del totale lombardo e quasi un decimo del dato nazionale. Segno che ci sono imprese in grado di trattare questo tipo di materiale e fare del rifiuto un’occasione di sviluppo. Ma anche retaggio di una forte pressione ambientale sedimentata negli anni, visto che ancora un quinto degli speciali finisce in discarica. Nel 2017 ben 2,3 milioni di tonnellate, tanto quanto il termoutilizzatore brucia in tre anni. È la fotografia scattata dall’Ispra, l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, nel rapporto 2019 sui Rifiuti speciali.
Il rapporto analizza i dati 2017, anno nel quale la produzione italiana di rifiuti speciali ha sfiorato i 140 milioni di tonnellate (+3% sul 2016), segno che sul fronte prevenzione c’è ancora molto da fare (l’obiettivo del programma nazionale è una riduzione del 5% al 2020). I rifiuti «gestiti» sono stati 147,1 milioni (+4%), più di quelli prodotti, a testimonianza di una forte mobilità in entrata: nel 2017 sono state importate 6 milioni di tonnellate di speciali, soprattutto dalla Germania, metallo in primis, che finisce nelle acciaierie bresciane, mentre ne sono state esportate 3. La nostra regione fa la parte del leone nella produzione e nella gestione degli speciali. Come sempre la fetta maggiore è rappresentata dagli scarti di costruzione e demolizione (il 40,8%), mentre l’industria metallurgica pesa per circa il 10%. In Lombardia il recupero di materia è del 74,7% e vengono smaltiti in discarica 3,2 milioni di tonnellate di speciali. La fetta maggiore è nel Bresciano.
Nella nostra provincia i rifiuti speciali gestiti sono stati 11,2 milioni di tonnellate, 900mila in più rispetto al 2016. Scende però il ricorso alla discarica, ma sottoterra finiscono comunque 2,3 milioni di tonnellate. Sono 11 gli impianti aperti nel Bresciano, 7 per gli inerti, 3 per i non pericolosi, 1 per i pericolosi (amianto). Inutile dire che le discariche si concentrano nella zona di Montichiari. L’altra faccia della medaglia è però la crescita di aziende che trattano e recuperano materia. Alla fine, al di là di una piccola quantità che finisce nel termoutilizzatore (164mila tonnellete), il resto degli speciali bresciani viene trattato e recuperato. Una percentuale vicina al 75%. Oltre alle 11 discariche, sul territorio è nata infatti un’intera filiera di imprese dedicata all’economia circolare e al recupero di materia. I dati Ispra del 2017 parlano di 447 impianti, ma oggi, dopo due anni, siamo più vicini ai 500. Lì dentro vi sono imprese che trattano il rottame, le demolizioni d’auto (tre gli impianti censiti: Lonato, Pisogne, Polpenazze) ma anche impianti di compostaggio (6) o di trattamento chimico-fisico (23).
Resta da capire se la filiera dell’economia circolare sia un tasto su cui spingere, come dicono le aziende, o se il territorio abbia già dato e nuovi impianti di trattamento vadano «bloccati», come chiedono alcune sigle ambientaliste. Di certo una soluzione per evitare nuove discariche va trovata. E quella del riuso pare la strada maestra. Peccato che le norme sull’end of waste (quando un rifiuto non è più tale, ma diventa nuova materia prima) non aiutino. In Olanda riciclano il 95% del materiale da costruzione. Da noi ancora troppo va in discarica. Ma soprattutto, anche quando trattato, quel rifiuto rischia di non poter essere usato. Il problema non è solo il riciclo, ma le norme che ne consentono il riutilizzo.
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