Bossi: con Napolitano i massoni al governo
«Padania» urla dal palco con voce strozzata il vecchio leader, acciaccato ma pimpante. «Libera» risponde la platea in piedi. Una, due, tre volte. Poi si alzano le note di Va' Pensiero, Umberto Bossi canta insieme ai militanti che alla fine lo applaudono e ne scandiscono il nome.
Con affetto. Mezz'ora di comizio (ai tempi d'oro bastava soltanto per le premesse), con qualche ripetizione, alcuni arditi paragoni storici fra lo scandalo della Banca Romana di fine Ottocento e quello attuale del Monte dei Paschi, attacchi a Monti, Fini e soprattutto al presidente Giorgio Napolitano: è un Bossi tonico quello che verso le 21 approda nell'auditorium di Coccaglio per la manifestazione elettorale della Lega. Bossi è capolista alla Camera.
Con lui, sul palco, l'on. Raffaele Volpi, Stefano Borghesi, Oscar Lancini, il sindaco Franco Claretti. Mezz'ora per dire alla sua gente di lasciare da parte i rancori dell'ultimo anno, votando compatti e convinti per Maroni presidente della Lombardia, per dire che lui è ancora in campo, eccome: «Io e Roberto saremo una tenaglia contro i nemici del nord, lui a Milano e io a Roma in Parlamento».
Quando Bossi entra nell'auditorium, le parole del coro verdiano vengono coperte dai battimani e dalle grida di «Bossi, Bossi». La sala è piena, duecento persone. Il presidente della Lega sale sul palco e comincia attaccando Napolitano: l'Europa dei ricchi non voleva più Berlusconi e «lui ne ha approfittato per farlo cadere, sapendo che se no il Cavaliere avrebbe vinto le elezioni. Poi ha chiamato Mario Monti, che la Padania ricorderà fra i suoi nemici». La politica del premier è stata una sola: «Aumentare tasse e bollette a spese del nord per far crescere gli utili dello Stato e andare avanti con l'assistenzialismo a favore del sud». Una politica sostenuta dalla sinistra, «statalista», per la quale «i cittadini devono solo pagare e stare zitti». Che insorge quando Berlusconi «promette di restituire agli italiani i soldi dell'Imu, una scelta giusta per rilanciare i consumi e aiutare l'economia».
Il presidente della Repubblica, attacca Bossi, «ha tradito: mi disse che mi avrebbe aiutato ad attuare il federalismo fiscale, invece non ha fatto nulla e ha chiamato i Professori massoni al governo». Uomini intrisi di libri e teorie, «che non sanno nulla della realtà». Molto meglio la gente comune, quella che la Lega deve mandare in Parlamento, «perché ha una qualità che i Professori non hanno: il buon senso». Bossi ne ha anche per Fini, dopo le sue critiche a Berlusconi per gli elogi a Mussolini: «Fini fa finta di essere cambiato, ma è rimasto un fascista».
Il Senatur racconta una barzelletta (di pessimo gusto): «Sapete, anche Fini ha avuto un parente morto in campo di concentramento; sì, è caduto dalla torretta di guardia». Risate in sala. Applausi quando invita a sostenere Maroni, «che porta avanti l'idea della regione padano-alpina che io avevo lanciato. Mettiamo da parte liti e discussioni, non facciamoci male da soli». Avanza proposte per uscire dalla crisi: «Il Tfr in busta paga ai lavoratori e una nuova banca che finanzi davvero le imprese». Incita alla battaglia elettorale: «La sinistra non vincerà, nonostante gli aiuti di Napolitano e di Monti. Vinceremo noi». Guarda i suoi leghisti e grida: «Padania». «Libera» scandiscono, prima del Va' pensiero finale. Enrico Mirani
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