Bimbo affetto da malattia rara: ora potrà essere curato a casa
Una piccola enorme vittoria. Piccola, se si considera la lotta alla malattia. Che continua, durissima. Enorme, perché per la prima volta in Italia un paziente affetto dalla glicogenosi di tipo II, più conosciuta come malattia di Pompe, può essere curato a casa. Si tratta di un bambino bresciano di sei anni al quale il 13 dicembre Santa Lucia si è presentata sotto le sembianze di una dottoressa dell’Ospedale Civile.
«Quando ha suonato il campanello, quasi non ci credevamo», racconta il padre del bambino. Sono infatti passati due anni da quando i genitori hanno chiesto che il Myozyme, il farmaco che consente al piccolo malato di sopravvivere, gli fosse somministrato tra le mura domestiche anziché in ospedale come previsto dal foglio illustrativo.
All’origine della richiesta la situazione di eccezionale disagio e rischio che da anni si creava ogni settimana, nel giorno dell’infusione per via endovenosa del farmaco. Perché il bambino, a causa della malattia che provoca la progressiva paralisi dei muscoli (volontari e involontari), è completamente paralizzato; ha subito una tracheostomia e vive attaccato a un respiratore 24 ore su 24; giorno e notte sopporta anche uno stimolatore diaframmatico e per alimentarsi ha bisogno di una Peg. Si può immaginare cosa fosse il trasporto in ospedale, tra respiratore e aspiratore, umidificatore e saturimetro: l’ascensore è troppo stretto, così il piccolo veniva caricato su un telo e condotto a piedi dal terzo piano alla strada dove lo attendeva l’ambulanza.
Un’operazione delicatissima, seppur svolta con estrema attenzione da due preziosi volontari della Croce Bianca. Poi, dopo l’arrivo nel reparto di Pediatria, cominciava una lunga giornata, almeno dalle 8 alle 18, in un ambiente dove ovviamente il bambino era esposto a rischi infettivi (anche perché riceve regolarmente immunosoppressori).
Nel febbraio dell’anno scorso i genitori, con il supporto dell’Associazione italiana Glicogenosi (e in particolare di Fabrizio Seidita), hanno chiesto al Civile di trasferire al domicilio il trattamento settimanale, anche alla luce di positive esperienze in tal senso all’estero. L’ospedale ha riconosciuto la ragionevolezza della richiesta, il medico che ha in cura il piccolo all’Ospedale San Gerardo di Monza ha appoggiato con forza l’iniziativa della famiglia e lo stesso ha fatto quello statunitense che periodicamente segue il bambino.
Ma la richiesta - come abbiamo riferito qualche mese fa su queste stesse pagine - si è incagliata tra le regole relative alla somministrazione del Myozyme (rispetto alle quali i genitori proponevano una deroga) e le competenze sulla decisione. Dopo un anno, quindi, la famiglia ha fatto ricorso al Tribunale di Brescia, ma la sentenza non è stata favorevole: il giudice ha richiamato la necessità dell’autorizzazione regionale. Da qui una nuova azione legale, un reclamo, che però nei giorni scorsi è stato superato dal via libera da parte del Civile dopo quello della Regione e del Comitato etico provinciale.
Per il bambino, per la sua mamma e per il suo papà significa moltissimo: ora, salvo emergenze, in ospedale dovranno andare ogni tre mesi per gli immunosoppressori. Mercoledì scorso, dopo la visita della dottoressa, l’infusione del farmaco si è svolta in modo regolare e sereno grazie a un infermiere e a un medico anestesista e rianimatore il cui costo è sostenuto dalla Sanofi, la multinazionale cui fa capo l’azienda produttrice del Myozyme, la Genzyme.
«È stata una battaglia di civiltà, che non riguarda solo noi, contro la burocrazia perché i medici erano dalla nostra parte», commenta il papà. Senza dimenticare l’aiuto che pure in questi anni gli è stato dato: «dalla Croce Bianca che ha sempre garantito il trasporto ai medici dell’Ospedale civile con il primario della Pediatria Alessandro Plebani, fino al presidente della commissione Sanità della Regione, Fabio Rolfi, che ci ha ascoltato e ha sbloccato la situazione».
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