«Basta omertà sulla morte di mia figlia»

Su Teletutto l’appello di Nadia Zanacchi, madre di Giulia Minola, vittima della strage della Loveparade. Dall'8 dicembre il processo in Germania
Giulia Minola, vittima della strage della Loveparade
Giulia Minola, vittima della strage della Loveparade
AA

L'ultima chiamata per la giustizia, due date precise: il prossimo 8 dicembre e il 27 luglio 2020. Centoundici udienze, tre a settimana, per arrivare a stabilire le responsabilità della strage della Loveparade del 2010. Le lancette corrono veloci per questo processo che sarà il più grande della storia della Germania dopo Norimberga. Ma anche quello in cui «perdono tutti».

A dirlo è Daniel Henneke Sellerio, avvocato della famiglia di Giulia Minola, 21enne bresciana rimasta uccisa il 24 luglio 2010 nella calca della Loveparade, durante la trasmissione di Andrea Cittadini Messi a Fuoco andata in onda ieri, incentrata sui grandi eventi finiti in tragedia: Duisburg, il pre partita all’Heysel del 29 maggio 1985 e la finale di Champions a Torino in piazza San Carlo lo scorso giugno.

 

 

«Perdono tutti» perché al processo per la Loveparade (che rischiava di non celebrarsi affatto non fosse per l’impegno dei familiari delle vittime, e su cui pesa oggi concreto il rischio prescrizione) sono finiti solo sei dipendenti comunali e quattro dipendenti della società organizzatrice. Non chi quella manifestazione l’ha voluta e messa in piedi.

«Sul banco degli imputati ci saranno persone normali che sicuramente soffrono per quanto è successo», dice l’avvocato Henneke Sellerio. Perché, è stato ricostruito durante la trasmissione a cui ha preso parte anche il giornalista del GdB Emanuele Galesi, «la manifestazione era stata fortemente pubblicizzata dal sindaco di allora per rilanciare l’immagine di Duisburg, nonostante l’area scelta fosse evidentemente inadatta ad ospitare un evento di tale portata».

 

Nadia Zanacchi, madre di Giulia Minola, a Teletutto
Nadia Zanacchi, madre di Giulia Minola, a Teletutto

 

Allora la speranza della mamma di Giulia, Nadia Zanacchi, è che i dieci imputati «smettano di essere omertosi e oltre ad assumersi le propria responsabilità indichino chiaramente anche quelle di chi ha fatto pressioni per organizzare la manifestazione».

Da Duisburg a Bruxelles e a un altro processo, concluso, ma figlio di una giustizia incompiuta: per la morte di 39 persone allo stadio Heysel sono stati condannati 13 hooligans a quattro anni con la condizionale. Per i dirigenti qualche mese, e sempre con la condizionale. Risarcimenti per le famiglie ridotti all’osso. Un processo che rischia di diventare l’amaro «precedente» di quello che si aprirà per la Loveparade. In studio il commento di Marie Andries, vedova del bresciano Tarcisio Salvi, uno dei 32 italiani morti a Bruxelles, è amaro: «La giustizia non c’è per tutti».

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato