Banchi fuori da scuola, gli studenti: «Ci manca tutto»
«Siamo qui perché la nostra pazienza è finita. Perché vogliamo che ci restituiscano il nostro presente e il nostro futuro. Perché vogliamo studiare, crescere, imparare. E possiamo farlo solo a scuola». Si legge questo nella chiusura della lettera che gli studenti del Liceo Calini hanno scritto per spiegare le motivazioni del proseguimento della loro protesta.
Per settimane, prima dell’inizio delle vacanze di Natale, molti ragazzi in tutta Italia hanno protestato contro l’impossibilità di tornare in aula, collocando simbolicamente alcuni banchi fuori dai loro istituti, da cui seguivano le lezioni a distanza via web, e gridando a gran voce la loro voglia di tornare a scuola.
Anche ieri, dopo la decisione del Governo di posticipare il loro ritorno in classe almeno al prossimo lunedì, alcuni studenti del liceo bresciano hanno svolto le loro lezioni di didattica a distanza fuori dalla sede della scuola in via Monte Suello in città.
Non li ha fermati il freddo, e nemmeno il fatto che la protesta sia rimasta fino ad ora inascoltata dalle istituzioni. «Cosa mi manca? Tutto - dice Leonardo Da Forno, studente della 2ª A - . Io abito in provincia, ma tutti i miei amici sono qui. Non solo: a scuola frequentavamo laboratori, corsi di teatro, di fotografia. Tutto il mio mondo è tra quelle mura. Voglio tornare a scuola, voglio tornare tra i miei compagni, è una situazione ingiusta».
E mentre il termos di tè caldo fuma su uno dei banchi piazzati sul marciapiede di fronte al Calini, le domande dei ragazzi rimangono sempre le stesse: «Mio padre e come lui tanti altri adulti - racconta Mario Dall’Asta della 4ª G - sono tornati al lavoro. Non riesco a capire perché noi non possiamo. Studiare è quello che dobbiamo fare, e non ci è concesso. Farlo con la didattica a distanza non è più sostenibile. Ci manca tutto, non è vita questa».
Ad emergere, dalle parole dei ragazzi, molta delusione per le decisioni prese dal Governo: «All’inizio dell’anno scolastico - spiega Dall’Asta - venivo a scuola in presenza. Rispettavamo le regole e nessuno si è mai contagiato in classe. Quello che vedevo, però, ogni giorno, erano i pullman pieni zeppi. E nessuno che controllava. È mai possibile che non si sia riusciti a organizzare il sistema trasporti? Il problema è quello, lo sanno tutti, ma è stato più facile e veloce risolverlo lasciando a casa noi».
«Ci sentiamo invisibili - sentenzia Luca Mattei della 2ª A - e sacrificabili. A chi piacerebbe esserlo? Non chiediamo altro che ricominciare a fare, in tutta sicurezza, il nostro lavoro: crescere e costruire il nostro futuro. Non siamo egoisti, sappiamo perfettamente che in ballo c’è la salute di una città e di uno stato intero, ma crediamo sia ingiusto che tutto ricada su di noi. Perché siamo giovani, ma non stupidi».
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