Balsamo, la confisca del tesoretto scatena la furia omicida
Cosimo Balsamo il capo della banda. Cosimo Balsamo il cardine attorno al quale ruotava il vasto traffico di metalli non ferrosi destinati a svanire nel nulla, carico di Tir destinati a stessa sorte. Cosimo Balsamo - nell’interpretazione di quello che ieri si è tramutato in killer assetato di vendetta - quello che paga per tutti. E un conto salato.
Immobili a Flero, Roncadelle, Castel Mella e Travagliato. E poi auto, mezzi industriali, conti correnti per oltre 100mila euro, polizze assicurative, le quote sociali dell’immobiliare Puglia e titoli azionari. È infatti questo il tesoretto milionario confiscato a Cosimo Balsamo in virtù della sentenza per furti e ricettazione, diventata irrevocabile il 9 dicembre 2009. E la causa di fatto che ha scatenato rabbia e rancore che l’uomo ha tenuto dentro per anni fino a quando ha deciso di impugnare le armi per uccidere ed uccidersi.
Nel mirino sono finiti due ex soci che riteneva responsabili di soffiate contro di lui alle forze dell’ordine: Elio Pellizzari, 78 anni di Flero, e James Nolli, 61enne di Vobarno. Balsamo era uscito di cella a dicembre dopo che era stato arrestato a bordo di un camion rubato. La prima riga del suo curriculum criminale l’ha scritta alla fine degli Anni ’70, ma a pesare come un macigno è stata la condanna a 7 anni e 4 mesi per furti e ricettazione nel settore dei metalli ferrosi. Di lui i giudici bresciani scrissero: «È il capo del sodalizio, promuove ed organizza il gruppo, decide i vari colpi che vengono effettuati. Partecipa in prima persona alle varie azioni nonostante sia sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Mantiene riservati contatti con i ricettatori telefonando da cabine telefoniche e numeri fissi. Si occupa anche della gestione dei proventi del sodalizio, ritirando il denaro e distribuendolo poi ai consociati».
La confisca dell’intero patrimonio era diventata un’ossessione. Dai proiettili fatti trovare anni fa al giudice Lorenzo Benini, era passato alla protesta sulla tettoria del Tribunale di Brescia non più tardi dello scorso gennaio.
Aveva bussato anche alle porte di Strasburgo, invocato la revisione del processo. «Non finirà così» ripeteva da tempo. La fine l’ha voluta scrivere lui.
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