Badiucao, la mostra e lo strano caso della Cina contro Brescia
Due settimane fa la Cina ha chiesto al Comune di Brescia di cancellare la mostra dell’artista dissidente Badiucao, che inaugurerà il 13 novembre al Museo Santa Giulia e proseguirà fino al 13 febbraio 2022 sotto il titolo «La Cina (non) è vicina».
Il caso, scoppiato il 21 ottobre con un articolo del Giornale di Brescia che rivelava i contenuti della lettera inviata dall’ambasciata della Repubblica popolare cinese in Italia, è presto diventato di interesse internazionale per almeno due motivi. Uno, si tratta della prima mostra in Occidente di un artista che si è fatto conoscere per aver saputo raccontare le contraddizioni del Partito comunista cinese con le sue immagini e per questa ragione costretto all’esilio in Australia da più di dieci anni e fino al 2019 anche all’anonimato. Due, racconta ancora una volta il modo di agire di Pechino, abituata a esportare la censura di personaggi a lei sgraditi intervenendo in modo più o meno netto nei rapporti politici e commerciali con i Paesi che li ospitano.
Questa la ricostruzione dall’inizio dello strano caso che vede la Cina, cioè uno dei più grandi e potenti Paesi al mondo, prendere posizione contro Brescia, un comune lombardo di neanche 200mila abitanti, responsabile di dare rilievo a una voce che per Pechino non deve passare alla ribalta internazionale.
Chi è Badiucao
Trentacinque anni, nato a Shangai, a lungo Badiucao è stato considerato una sorta di Banksy cinese: fino a due anni fa proteggeva la sua identità come l’artista britannico ma non come marchio artistico, bensì per evitare problemi con le autorità cinesi. Critico contro il Partito comunista cinese, da anni dedica la sua arte all’attivismo a favore della democrazia e dei diritti. Per aggirare la censura diffonde i suoi disegni su Twitter: «In Cina i social sono monitorati in modo da intercettare le parole segnalate come "sensibili" - ha spiegato Badiucao al Giornale di Brescia -, ma non le immagini. Attraverso l’uso delle vignette e la creazione di parole nuove si può raggiungere quel milione di cinesi che usano Twitter e che, come tante piccole gocce, possono far circolare le informazioni nel Paese».
Da più di dieci anni vive in Australia e in più occasioni ha raccontato ai media internazionali della paura per l'oppressione cinese. Che si è manifestata apertamente nel 2018, quando il governo di Xi Jinping spinse a cancellare una sua mostra prevista a Hong Kong per «motivi di ordine pubblico» e i suoi familiari furono sottoposti a interrogatorio dalla polizia cinese. Da quel momento Badiucao ha deciso di venire allo scoperto e l’ha fatto nel giorno del trentesimo anniversario da piazza Tienanmen. «Sapevo fin dall’inizio che se avessi scelto i diritti umani e il potere come soggetto della mia arte sarei stato nei guai, mettendo in pericolo la mia famiglia - ha raccontato l’artista -. Questo è il prezzo di essere cinese». Nel 2020 la Human Rights Foundation gli ha attribuito il Vaclav Havel Prize for Creative Dissent, riservato ad artisti che smascherano le menzogne delle dittature.
La lettera al Comune di Brescia
Il 12 ottobre nel salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia si è tenuta la presentazione ufficiale della mostra «La Cina (non) è vicina. Opere di un artista dissidente». Protagonisti Badiucao e Zehra Dogan, l’artista curda rinchiusa per tre anni nelle carceri turche a causa delle sue opere di denuncia, che ha esposto a Brescia due anni fa. Tre giorni dopo al Comune di Brescia è arrivata una lettera dai toni molto duri dall’ufficio cultura dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese: «Le opere in mostra sono piene di bugie anti-cinesi, distorcono i fatti, diffondono false informazioni, fuorviano la comprensione del popolo italiano e feriscono gravemente i sentimenti del popolo cinese mettendo in pericolo le relazioni amichevoli tra Cina e Italia» si legge nel testo della missiva. La lettera, riportata sul Giornale di Brescia del 21 ottobre, ricorda «la partnership strategica» e i rapporti di «rispetto e fiducia reciproci» instaurati negli ultimi cinquant’anni tra Italia e Cina, «partner commerciai di vantaggio reciproco» e «paesi amichevoli che si aiutano a vicenda». Ecco perché l’ufficio cultura dell’ambasciata cinese «esprime forte insoddisfazione per l’organizzazione della mostra menzionata e chiede al Comune di Brescia di agire rapidamente per cancellare le attività sopra citate».
La risposta di Del Bono e di Brescia Musei
La replica del Comune di Brescia e di Fondazione Brescia Musei non si è fatta attendere. Il 21 ottobre il sindaco Emilio Del Bono e la presidente di Brescia Musei Francesca Bazoli hanno inviato all’ambasciata una lettera in cui spiegano che la mostra non intende «mettere in cattiva luce la Cina o il popolo cinese», ma è piuttosto dedicata «all’arte contemporanea nella sua correlazione con la libertà di espressione». Per Del Bono la mostra di Badiucao, che fa parte della quarta edizione del Festival della Pace, si inserisce in una «lunga tradizione cittadina di ospitalità nei confronti dei dissidenti, fin dagli anni Settanta con l’esperienza della Cooperativa cattolico-democratica di Cultura», che ha accolto artisti russi, ungheresi, polacchi e in tempi più recenti sta esplorando nuove parti del mondo attraversate da conflitti, come la Turchia di Zehra Dogan. La mostra di Badiucao quindi si farà, nonostante il caso diplomatico ormai di interesse nazionale e le intimidazioni ricevute dall’amministrazione comunale di Brescia.
Perché il caso di Brescia ci dice qualcosa di più sulla Cina
La vicenda di Badiucao a Brescia è interessante perché offre una volta di più la possibilità di osservare come si muove la Cina in politica estera. «La Repubblica Popolare Cinese è abituata a intervenire in modo approfondito per rintracciare questioni sgradite a Pechino e portate all’attenzione pubblica di altri Paesi - spiega Antonio Fiori, docente di International Relations of East Asia e coordinatore del corso di laurea in International politics and economics all’Università di Bologna -. La Cina si avvale di una rete di controllo capillare nel mondo, composta da uffici, ambasciate e consolati, attraverso cui monitora con attenzione spasmodica tutte le dimensioni che in qualsiasi modo coinvolgono il suo operato. Per poi intervenire».
I livelli di intervento sono diversi e variano in base al grado di gravità con cui il governo cinese giudica i personaggi che hanno oltrepassato la linea rossa stabilita da Pechino. «Se si tratta di figure sgradite in modo palese come il Dalai Lama, la Cina assume una posizione netta nei confronti dei Paesi che prendono contatti con loro, per esempio intaccando le relazioni commerciali - prosegue Fiori - o limitandole in qualsiasi modo possa. Ricordiamoci il caso eclatante di Liu Xiaobo, cui fu impedito di uscire di prigione per andare a ritirare il Nobel per la Pace in Svezia, dove avrebbe potuto denunciare il regime a tutto il mondo. Un esempio di intervento intermedio invece è stato quando nel 2008 Sarkozy si oppose alle Olimpiadi di Pechino accusando la Cina di violare i diritti umani e dalla Cina arrivarono una critica ferrea e sanzioni all’import francese. Infine, a un livello più base, come nel caso di Badiucao o in quello di dieci anni fa dell’artista Ai Weiwei, succede che la leadership cinese viene a conoscenza di questi episodi tramite le sue "sentinelle", che poi cercano di tappare la bocca a chi va contro Pechino». Non deve quindi sorprendere l’ingerenza aperta dell’ambasciata cinese nella vicenda bresciana, che diventa spia di un modus operandi consolidato e diffuso nel mondo a qualsiasi livello.
A Messi a Fuoco: «La mossa del governo cinese è una forma di bullismo»
«Mi aspettavo la censura cinese, molto aggressiva: sono abituato. La reazione coraggiosa della città di Brescia è la risposta giusta a queste forme di attacco». Queste le parole di Badiucao ospite in esclusiva in diretta tv durante la trasmissione Messi a Fuoco di Teletutto, andata in onda venerdì sera.
«Perseguiamo gli stessi valori che ci avevano fatto ospitare l'artista curda Zehra Dogan due anni fa, sempre nel contesto del Festival della Pace. Arte e diritti civili devono dialogare» ha detto Roberto Cammarata, presidente del Consiglio comunale. «Non abbiamo titubato neanche per un attimo. Come Fondazione, abbiamo ribadito che la nostra iniziativa è artistica, non politica. La nostra missione è mostrare come l'arte sia un potente mezzo di espressione personale, libera, della capacità dell'uomo di immaginare un futuro diverso» ha spiegato Francesca Bazoli, presidente di Brescia Musei.
Per l'artista cinese «la presa di posizione del governo cinese è una forma di bullismo. Io sono diventato scomodo molti anni fa - ha raccontato -. Anche mio nonno, regista, è stato perseguitato. Ho lasciato la Cina anni fa per poter esprimere la mia arte e essere finalmente libero».
La mostra a Brescia
All’allestimento della mostra «La Cina (non) è vicina» Badiucao sta lavorando da quando è arrivato a Brescia per la presentazione a metà ottobre. L’apertura al Santa Giulia sarà il 13 novembre e sarà possibile visitarla fino al 13 febbraio 2022. All’interno del percorso espositivo curato da Elettra Stamboulis ci saranno opere nuove e già pubblicate sui social, mai esposte dal vivo finora per motivi di censura e sicurezza: e quindi oltre a «Tank Man», omaggio all’uomo che fermò i carri armati in piazza Tienanmen, la «Lennon Flag», la bandiera con i colori fluo dei post it su cui gli abitanti di Hong Kong diffondevano la loro protesta, le caricature del leader cinese Xi Jinping che dà la caccia all’orso Winnie The Pooh, saranno esposti anche i «Diari di Wuhan», un documento eccezionale sui cento giorni di lockdown nella città primo epicentro della pandemia, e i manifesti ispirati alle Olimpiadi invernali di Pechino, sulle quali Badiucao ha più volte espresso critiche. Per l’artista cinese i Giochi saranno «un grande spot con cui la Cina si accrediterà agli occhi dell’occidente, facendo dimenticare le persecuzioni contro la minoranza uigura e contro i dissidenti: non cascateci».
Quanto alla mostra in sé, Badiucao la vede come un’occasione per «farmi conoscere a livello internazionale come artista, oltre che come vignettista sul web. In questi tempi in cui l’illusione di vivere in un mondo pacificato si va dissolvendo, l’artista ha la responsabilità di intercettare e trasmettere queste sensazioni: nel mio caso, far sapere a tutti che l’immagine della Cina non è quella veicolata dal governo, che il popolo cinese è diverso dal governo cinese».
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