Autoritratto nel bosco

Il racconto di Beatrice Zanardelli
Nel bosco
Nel bosco
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Ingannare l’attesa dell’emergenza con dei racconti... uno al giorno come nel Decameron. Sollecitati dalla proposta dello scrittore Nicola Fiorin, abbiamo lanciato ai lettori l’idea di inviarci dei racconti per l’eventuale pubblicazione sul giornale o sul nostro sito.
Chi volesse proporne uno, dovrà attenersi nel limite delle 3.500 battute, ed inviarlo a lettere@giornaledibrescia.it.

 

Il racconto dell'attesa

Sono nata in un bosco, sulle alpi provenzali. La radura era fresca e le foglie degli alberi mi riparavano dal caldo sole di luglio, ma sventagliavano distratte e ciarliere e diventavano trasparenti e gialle poi bianche poi ancora verdi. Ho aperto gli occhi ma subito li ho richiusi per la troppa luce. Il profumo di terra umida e lavanda rincorreva la danza del vento e delle nuvole grandi e frastagliate, come navi in mezzo ad un oceano sconfinato. Ho sentito il mio respiro ed il battito del mio cuore sussurrare segreti senza suoni ai piccoli frammenti di legno sotto i miei piedi ed ho acciuffato l'inizio di un pensiero, che accanto alla mia mano sinistra attendeva il mio risveglio, posato su un filo d'erba.
Dopo pochi passi mi accorsi che gli alberi bisbigliavano tra di loro al mio passaggio, senza nemmeno curarsi troppo di abbassare la voce, così che potevo udire il loro scricchiolio preoccupato dalla mia presenza. Solo le tre betulle laggiù facevano brillare le foglie verde chiaro chiamando il mio sguardo, così le raggiunsi.
La più grande, avvolta nel suo splendido abito bianco mi chiese: Sei stanca? Da dove arrivi?
Stanchissima, arrivo dal cuore buio dell'universo.
Riesci a sentire il ronzare degli insetti e l'erba fresca e soffice sotto i piedi?
Sì.
Allora non temere, sei salva qui avrai pace.
Era immobile mentre mi parlava. Mi resi conto solo allora che il vento, mio compagno fin lì, era svanito. Gli aveva forse chiesto la betulla di allontanarsi per leggere con più attenzione il mio cuore?
Ci abbracciammo e gli infiniti tratteggi grigi sulla corteccia bianca mi raccontarono storie meravigliose di stagioni, di stelle e lune, di fiori e nuvole vagabonde.
Le cicale mi indicarono un sentiero stretto tra le fronde, che protettive lo avevano tenuto nascosto fino a quel momento. Distinguevo il suono eterno di una cascata. Così come l'acqua incide la roccia, così le lacrime lasciano indelebili tracce sul cuore. Così, come l'acqua di una cascata che incessantemente salta fragorosa, si susseguono attimi e risate e parole ed eventi scroscianti.
Il rumore forte della vita copre la malinconia ed il vuoto. Ma paura e dolore come due piccole bestioline del sottobosco restano accucciati su due rocce lucide dietro la cascata. Nell'ombra umida osservano, occhi sgranati, attendono che ci sia uno spiraglio nel muro di schiuma bianca. Li intravedo silenziosi mentre mi avvicino all'acqua trasparente fresca. Raccolgo sassolini tondi e lisci dal letto del ruscello, ogni sasso è un sorriso, un cerchio sull'acqua che si espande.
Il ruscello mi parlò a lungo, dei sogni. Segreti sussurrati sulle sue sponde, che galleggiano, come i cangianti riflessi dell'acqua. Di notte le stelle si mettono comode nell'oscurità e chiedono all'acqua di raccontarli, ne scelgono qualcuno, lo raccolgono, lo portano alla Luna per far sì che si avveri.

Note biografiche. Beatrice Zanardelli, bresciana, è diplomata alla Libera Accademia Belle Arti, Laba, e dipinge. Altrove è la parola chiave delle sue opere: il non-luogo fusione di ricordi e visioni oniriche, passato e futuro.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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