Aria inquinata: la Corte Ue inchioda anche lo smog di Brescia

La Ue è stata chiara, si rischia una multa e il taglio dei futuri fondi europei: la nostra è tra le città responsabili
Traffico a Brescia - © www.giornaledibrescia.it
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Premessa: l’arco temporale di riferimento va dal 2010 al 2018. Ma l’epilogo (purtroppo) non cambia: Brescia è tra le città responsabili della procedura di infrazione certificata dalla Corte di Giustizia Europea. E la ragione è quella (ancora una volta, purtroppo) più nota di sempre: la scarsa qualità dell’aria, troppo inquinata e troppo «carica» di biossido di azoto (No2), originato soprattutto (ma non solo) dal traffico veicolare.

Per questo, ossia per la costante incapacità a non sconfinare oltre la concentrazione soglia annua fissata in 40 microgrammi per metro cubo di No2, i giudici di Lussemburgo inchiodano ora l’Italia, accogliendo il ricordo della Commissione Ue e bocciando il nostro Paese per inadempienza. E non solo per aver sforato, ma anche per la mancata adozione, a partire dall’11 giugno 2011, di misure capaci di garantire il rispetto dei valori limite di No2 nelle città «fuorilegge». Un elenco da maglia nera che vede Brescia in cima all’elenco delle conurbazioni subito dopo Torino e insieme a Milano, Bergamo, Genova, Roma e Firenze

La sentenza

Il verdetto è chiaro. L’Italia è condannata - si legge - «per non aver provveduto a che i piani relativi alla qualità dell’aria prevedessero misure atte a limitare al periodo più breve possibile il superamento della soglia limite».

L’organo di giustizia europea ha poi respinto al mittente ogni scusante, evidenziato che «non costituiscono valide giustificazioni» quelle fatte valere dal nostro Paese, tra cui le difficoltà strutturali legate ai fattori socioeconomici, gli investimenti di grande portata da mettere in opera, l’attuale tendenza (quindi successiva rispetto al periodo preso in esame) al ribasso dei valori di biossido di azoto, i tempi di attuazione necessariamente lunghi dei piani adottati, le tradizioni locali, la presenza di cofattori causali esterni «quali la configurazione orografica» - ovvero la distribuzione dei rilievi montuosi - di alcune zone e la circolazione dei veicoli diesel. Oltre 2 miliardi.

Cosa succede ora?

Si rischia una multa da capogiro, nonché il taglio di futuri fondi europei destinati all’Italia: considerando che le procedure di infrazione sono tre (la prima per le Pm10), la cifra potrebbe oscillare tra 1,5 e 2,3 miliardi di euro (sì: miliardi), conto che ricadrebbe in automatico sulle Regioni. Ma non è detto che la sanzione scatti in automatico. La condanna, infatti, non comporta automaticamente un «risarcimento» in denaro, ma prende atto del superamento.

A livello istituzionale, comunque, la sentenza della Corte di Giustizia non ha lasciato nessuno a bocca aperta. «Non è una sorpresa, sapevamo da tempo che sarebbe arrivata questa sentenza, ma stiamo lavorando alacremente per mettere in campo ulteriori misure» ammette l’assessore regionale all’Ambiente Raffaele Cattaneo, che la prossima settimana sarà a Bruxelles proprio per discutere delle nuove direttive sulla qualità dell’aria. A fargli eco è l’assessore all’Ambiente di Palazzo Loggia: «Il Comune - spiega Miriam Cominelli - ha fatto e continua a fare investimenti importanti sulla mobilità sostenibile, ma l’approccio deve essere di area vasta». Quindi, striglia Roma: «Nel 2019 fu sottoscritto tra Ministeri e Regioni il Protocollo di Torino che prevedeva 17 azioni a carattere operativo e di urgenza: ne sono state attuate solo 4, di cui una di carattere procedurale. È evidente che il tema debba avere una maggiore attenzione a livello nazionale».

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