Anoressia, una bresciana guarita: «Serve ascolto, basta stereotipi in famiglia»
«Non potevo decidere se ammalarmi o meno. Però forse avrei potuto decidere prima di aderire alle cure per cercare di risolvere prima la mia situazione. Ora lo farei. Perché mi sono persa tantissime occasioni e ancora oggi lo rimpiango».
A parlare è Chiara, bresciana, 34 anni, alle spalle una lunga e dolorosa storia di disturbi del comportamento alimentare. Con la necessaria distanza, la sua esperienza oggi si trasforma in consigli preziosi per chi soffre di anoressia e bulimia, dopo giorni di polemiche attorno ai tagli del Fondo per il contrasto dei disturbi della nutrizione e dell'alimentazione, finché il ministro della Salute Schillaci non ne ha annunciato il rifinanziamento.
Secondo le ultime stime, sono circa 60mila i bresciani e le bresciane che ne soffrono. Tra loro anche molti giovanissimi, quasi seimila minorenni, aveva spiegato Elisa Fazzi, direttrice della Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Asst Spedali Civili.
«Le criticità a livello strutturale oggi sono molte, a partire dalle liste d’attesa e dalla mancanza di strutture adeguate in molte zone d’Italia - prosegue Chiara -. Il problema però, credo, sta a monte ed è culturale: c'è ancora il paradigma del "volevo fare la modella", che rivelano l’attaccamento all’apparenza». Ecco perché oggi «non esiste una ricetta o una parola magica» per aiutare chi soffre di disturbi del comportamento alimentare. C’è un atteggiamento accogliente però da cui si può partire: «l’ascolto e l’attenzione» innanzitutto, dice Chiara, ma anche la rinunciare ad alcune frasi standard e stereotipate soprattutto in famiglia: «Continuare a chiedere "non mangi perché vuoi essere magra" o "stai facendo i capricci" non serve a nessuno».
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