Anno 1973: quando il petrolio andò alle stelle

Tutti a piedi in nome dell’austerity: nell’inverno del 1973 la guerra arabo-israeliana provocò una crisi energetica
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Un fanciullesco senso di libertà, una voglia di leggerezza e di evasione, la percezione di un tempo riconquistato, per se stessi, gli amici, la famiglia. Al netto, ovviamente, dei fastidi oggettivi che il provvedimento comportava. Si giocava a calcio o a tennis nelle strade, le biciclette invadevano le piazze, sui viali si improvvisavano gare con i pattini a rotelle, mentre biroccini a cavallo sfrecciavano di nuovo sulle vie come un secolo prima. Niente rumore di motori, pedoni liberi di occupare la mezzeria. Era l’austerity, bellezza. Domeniche senza auto, in città ma anche in provincia, senza eccezioni, altro che il via vai delle sbiadite imitazioni di oggi. In giro, soltanto i mezzi pubblici. Non c’entrava l’ecologia, ma la crisi energetica di quell’inverno 1973.

In seguito al conflitto arabo-israeliano, i Paesi del Golfo produttori di petrolio avevano deciso di ridurre i rifornimenti all’Occidente per motivi politici. Il risultato era semplice: riserve scarse e carissime. Il governo italiano, come altri in Europa, varò misure straordinarie. Il 22 novembre 1973 stabilì la chiusura dei negozi alle 19, la fine delle trasmissioni tv alle 22.45, la serrata di cinema e teatri alle 23 (insomma, tutti a nanna presto), lo spegnimento delle insegne luminose alle 21. E soprattutto domeniche a piedi per tutti a partire dal 2 dicembre. Una tragedia, oppure un’occasione di festa.

I bresciani (ma un po’ ovunque fu così) decisero per la seconda. Nel 1973 nella nostra provincia viaggiavano 250mila automezzi: 170mila automobili, 50mila motociclette, 30mila camion. Brescia era l’ottava città italiana (la prima non capoluogo di regione) per immatricolazioni, confermando la sua vocazione motoristica e industriale. Se nel 1963 il rapporto era di un motore ogni 14 bresciani, nel 1973 il rapporto era salito: 1 a 4. Il 2 dicembre poterono circolare soltanto 3.837 mezzi provvisti di deroga: medici, ostetriche, sacerdoti in servizio, forze armate, polizia, taxi, pronto soccorso, trasporti funebri, nettezza urbana... Il divieto fu ampiamente rispettato: solo 32 le persone denunciate per guida abusiva di autoveicolo (sequestro del mezzo e batosta da 100mila lire ad un milione, il costo di una Fiat 126), una anche arrestata per resistenza ai carabinieri che gli contestavano l’infrazione; sette multe comminate per eccesso di velocità (i nuovi limiti fissati dal governo per risparmiare carburante erano 120 Km/h sulle autostrade, 100 sulle altre, 50 nei centri urbani); quattordici commercianti sanzionati per non avere spento le insegne pubblicitarie.

In compenso i mezzi pubblici erano stati presi d'assalto. I bresciani si erano industriati ad inventarsi una mobilità alternativa, più per divertimento che per necessità.

Le domeniche a piedi terminarono nell’aprile del 1974. Poi si passò alle targhe alterne, alimentando un circuito di scambio-prestito delle auto tra familiari, parenti ed amici. Si sa: i mezzi divieti sono facilmente aggirabili. A giugno si tornò alla normalità: fine dell’austerity, una parola rimasta legata a quel periodo nell’immagine collettiva degli italiani. Sinonimo, per chi c’era, di sobrietà, ore trascorse in famiglia o con gli amici, senza l’affanno di orari ed impegni di rispettare.

Fu un’occasione anche per riflettere su quanto il traffico influisse (negativamente) sulla vita quotidiana. Brescia presentava numerosi problemi. Troppi mezzi in giro, circolazione caotica, smog, indisciplina. Nel settembre del 1973 l’Amministrazione comunale decise l’installazione dei parchimetri per favorire la sosta breve e dunque il ricambio delle automobili. Le colonnine furono applicate in corso Garibaldi, nelle vie Porcellaga, Cairoli, Pace, Tosio, Vittorio Emanuele II, Einaudi, Bulloni, Benedetto Croce, piazzale Arnaldo. Mezz’ora di sosta costava 50 lire, come mezza tazzina di caffè.

Enrico Mirani

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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