Amicizia, opere e fede: la strada per la presenza civile dei cattolici
«La cristianità è finita. Il cristianesimo non è più sentito come un riferimento essenziale dell’Occidente», dice Ernesto Galli della Loggia, storico, saggista e docente emerito di Storia contemporanea alla Normale Superiore di Pisa.
In Italia e in Europa, a partire dagli anni Sessanta, si è creata una frattura. «L’anelito collettivo alla libertà e alla giustizia sociale - sostiene - è stato soppiantato dall’individualismo e dal desiderio di realizzare se stessi». Da anni i cattolici sembrano non avere più voce e la presenza in politica è una scelta solitaria. «La risposta del Papa e delle gerarchie di fronte alla scristianizzazione - sostiene Galli della Loggia - è il silenzio. La Chiesa cattolica non sembra più capace di un dialogo fecondo con il mondo». Parole e opinioni che cadono come macigni nel contesto in cui vengono pronunciate ossia l’incontro promosso dalla Fondazione Tovini nel Salone Vanvitelliano per ricordare la figura di Giuseppe Camadini a dieci anni dalla morte.
Eppure la storia dei cattolici italiani è fatta di grande impegno e gli eredi di quella cultura sono tutt’altro che scomparsi, sottolinea Galli della Loggia. Basti pensare all’esempio bresciano. A Giuseppe Tovini, Giorgio Montini, Giovanni Battista Montini, Vittorino Chizzolini e, su questa scia, proprio a Camadini. La sua biografia si innesta pienamente nel corso della storia del movimento sociale cattolico, non solo bresciano. Quella di Camadini è una storia di idee, persone, relazioni, fede. Una continuità che deve essere di stimolo e di indirizzo per il presente e il futuro.
Durante il convegno ricorrono alcune parole che hanno dato l’impronta alla vita del notaio camuno e possono fare ancora da guida: l’azione (costruire cose e istituzioni, strumento per operare nella storia), l’amicizia (perché non si può edificare in solitudine), la forza del pensiero (prima di agire bisogna approfondire), la fede e la preghiera. I pilastri di un’esistenza che, come sottolinea il prof. Paolo Corsini nella sua relazione, «ha sempre sollecitato una tensione unitiva: fra le persone, nel dialogo interno alla comunità ecclesiale, nel rapporto fra laici e religiosi, fra libertà e fedeltà, fra potere e sobrietà del costume».
Un’attitudine che Corsini individua anche nella stagione del Camadini politico tra le file della Democrazia cristiana: «Era un centrista, nel senso che spingeva per una risoluzione conciliativa delle tensioni. Era per la mediazione, che non significa moderatismo».
Del resto, Camadini respingeva le tesi di chi leggeva la storia del movimento cattolico bresciano secondo un modello netto: da una parte Giuseppe Tovini intransigente e conservatore, dall’altra Giorgio Montini conciliatorista e più aperto al sociale. Una lettura ad uso delle battaglie politiche interne alla Dc, nella frattura fra le correnti e i personalismi. Camadini, invece, interprete di spirito originario, sosteneva che la diversità delle opinioni fra Tovini e Montini si risolvesse (e andrebbe risolta sempre) nel cemento dell’amicizia, delle opere, della fede. La tensione unitiva, appunto.
Le figure di Tovini e Montini come riferimento di Camadini è bene illustrata nel convegno dalla prof. Maria Bocci, docente di Storia contemporanea alla Cattolica, discepola dello scomparso Giorgio Rumi, amico personale di Camadini e storico del movimento cattolico. «Camadini - afferma Bocci - ha sempre attribuito una vocazione civile al cattolicesimo italiano anche attraverso le sue istituzioni».
Ad esempio, nel campo della finanza e dell’economia, utili per garantire i mezzi alle varie attività sociali e di apostolato. Camadini, tanto più dopo la fine della Dc, riteneva «indispensabile la partecipazione dei cattolici alla vita sociale». Soprattutto nel settore dell’educazione, che per lui era lo strumento per aiutare i giovani nella ricerca del bene, per prepararli a giudicare il loro tempo alla luce della ragione e della fede. Oggi, sottolinea Maria Bocci, «stiamo vivendo un’emergenza educativa: è indispensabile un impegno come quello che ci ha testimoniato Camadini». È il momento di «gettare semi in un terreno assetato». Di idee, valori, senso.
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