Amarene al bacio
Adoro le amarene, amo quel loro anticonformismo, quell’essere frutti aspri e di carattere. Da piccolo in giardino avevamo una pianta gigantesca che ci regalava raccolti entusiasmanti. Ogni volta che mangio un’amarena torno sotto quell’albero a sonnecchiare sull’amaca. In questi giorni ho preso un amareno, non è stato facile trovarlo. Spero mi dia soddisfazioni. E spero che, come il suo predecessore, sia baciato dal sole. Essere baciati è sempre piacevole, non bisogna però esagerare. Vorrei qui aprire una profonda riflessione antropologica: non sopporto chi mi saluta con tre baci. Siccome le guance sono due, io al secondo bacio ritraggo la testa come una tartaruga nel guscio.
Trovo i tre baci ineleganti come un cinquantenne con la pancia che indossa la camicia fuori dai pantaloni (ovviamente tutta aperta) con sotto la maglietta di Superman. I tre baci sono come il tuo coetaneo che ti dice «quello dell’aperitivo è il momento più bello della giornata», sono insomma figli di questi tempi incerti.
In un caldo pomeriggio di maggio delle superiori andammo a fare una gita a Montisola. Il mio compagno Vittorio, un ragazzone di un metro e novanta per un quintalino buono, mentre salivamo affannosamente al santuario della Ceriola decise di fare il fenomeno con le ragazze dicendo: il sole non è mai così bello quanto nel giorno che ci si mette in cammino. Che tenero, gli dissero, potresti scrivere le frasi per i baci Perugina. Preso da un calo di zuccheri per la fatica, replicò: ora ne mangerei a decine. Fine della poesia, troppi baci danno alla testa.
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