Alvaro: «Che vada bene a tutti, ma un po' meglio anche a me»
Sembra la mitezza fatta persona. Non dà l’idea di uno che sgomita; se c’è da piangere credo sia uno che lo faccia da solo, magari rassegnato. Lui è Alvaro, ha 56 anni, un diploma di perito in tasca, due figlie di 15 e 18 anni e una moglie che devono essere l’intero suo tesoro se nel curriculum, alla voce hobby lui scrive - meravigliosamente - «famiglia».
Da 15 mesi Alvaro è disoccupato. Semplicemente e drammaticamente, l’azienda nella quale lavorava da anni, un giorno gli ha detto che era finita per «riduzione dei costi aziendali». Lui se n’è andato e da allora ha cominciato a mandare curriculum.
La sua storia, col tratto gentile e un po’ timido che gli è proprio, ha voluto scriverla al nostro direttore: «Mi affaccio alla sua rubrica che leggo abitualmente e che spesso è culla dei sentimenti dei suoi lettori - scrive - per condividere con quanta amarezza sto vivendo questo periodo in cui la quasi totalità delle aziende nemmeno risponde alla consegna del curriculum e trovare una qualsiasi occupazione alla mia età è ormai diventato pressoché impossibile». Il direttore pubblica la lettera e dopo qualche giorno avviene un mezzo miracolo. Un’associazione professionale ci chiede il curriculum, glielo inviamo, Alvaro viene chiamato per un colloquio. Evviva: dal 7 gennaio Alvaro comincerà a lavorare, pur se a part time.
E allora, che ne dice? Abbiamo chiamato l’Alvaro. Fa un salto in redazione. È visibilmente emozionato. Ci si conosce. Contenti lui e noi. E si fa qualche chiacchiera.
È a casa dal settembre del 2014. I primi mesi frastornanti, il primo Natale senza un lavoro. «Sarà per il prossimo, mi dicevo». Passano i mesi. Lui si dà da dare. S’ingegna. Traslochi, imbianchino, lavapiatti. E poi i curriculum, tanti li invia, molti li porta di persona. «La cosa che fa più male - dice - è la non risposta delle aziende, non ti dicono nè sì nè no». Io un po’ capisco: immagino siano sommerse da richieste di lavoro. Ma la cosa fa male lo stesso. È proprio il senso della inutilità che percepisci forte. Ma come - dice - ho lavorato per anni in aziende meccaniche. So cosa significa lavorare, come si lavora, come ci si pone in azienda. E adesso più niente. M’avessero detto: c’interessi, però bisogna fare dei corsi particolari. Li avrei fatti. Niente».
«I primi giorni da disoccupato - racconta - ero abbastanza fiducioso proprio perché avevo un bel trascorso professionale. Poi ho visto gli effetti dell’età: a 55-56 anni sei fuori» C’è commozione. «Un mese, due, tre. Niente. Ti vengono anche strani pensieri...».
Adesso è finita. Dopo l’Epifania si riparte.
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