Alpini in tempo di pace: il mito attende di essere raccontato
Le missioni di pace all’estero a partire dagli anni Ottanta, dal Libano al Kosovo, dall’Afghanistan all’Iraq. Il soccorso umanitario in Mozambico. Gli interventi di protezione civile in Italia, dal terremoto del Friuli a quello delle Marche. Un impegno costante del Corpo degli Alpini nella storia militare, civile e morale del nostro Paese dalla nascita della Repubblica in poi.
Una cronaca non ancora sfociata in letteratura e mito positivo, diversamente dai decenni precedenti in cui scrittori alpini hanno contribuito a costruire l’epopea del Corpo. «Sarebbe ora di rimediare», dice il prof. Nicola Labanca, storico, docente all’Università di Siena. L’occasione è la conferenza ospitata nell’Aula Magna della Cattolica per i 150 anni di fondazione delle Penne Nere, terzo appuntamento itinerante di sei: «Alpini e montagna: storia, letteratura e miti». Carlo Corsi, Edmondo De Amicis, Cesare Battisti, Carlo Emilio Gadda, Mario Rigoni Stern, Nuto Revelli, Giulio Bedeschi, per citare autori di grandi pagine. «L’impegno degli Alpini nella comunità civile in tempo di pace merita di essere raccontato», sottolinea Labanca.
Scrittori
Aula Magna della Cattolica affollata di Alpini e studenti per ascoltare la relazione di Labanca sulle tappe della costruzione del mito, l’analisi del col. Franco Del Favero (capo di stato maggiore della Brigata Julia) sull’evoluzione delle tecniche di addestramento e di impiego delle truppe in montagna, l’intervento del prof. Rolando Anni su «Montagne e alpini, il territorio bresciano nella Grande guerra e nella Resistenza».
È con il Primo conflitto mondiale che si afferma il mito degli Alpini («Che non va confuso con la verità storica», afferma Labanca). La pubblicistica e la letteratura di genere hanno avuto grande successo per varie ragioni, in particolare nel Secondo dopoguerra. Innanzitutto perché in primo piano c’è il suggestivo rapporto fra l’uomo e la montagna, quindi per l’immagine trasmessa del soldato italiano, ingannato dal fascismo, che si riscatta.
Del resto, mette in rilievo Rolando Anni, la Resistenza ebbe fra i suoi protagonisti gli Alpini, in particolare nel Bresciano. Il nome Fiamme Verdi richiamava il colore delle mostrine del Corpo e nel loro regolamento dichiaravano di continuare «la gloriosa tradizione dei battaglioni alpini», comandante era il capitano alpino Romolo Ragnoli. Sulle montagne della Valcamonica - nello stesso tempo rifugio e pericolo - le Penne nere, ribelli per amore, scrissero una pagina importante della loro storia.
Così come, ovviamente in un contesto diverso, accadde sull’Adamello: la Guerra Bianca, sia pure piccola rispetto ai fronti del Carso e dell’Isonzo, ebbe un immediato riflesso mediatico grazie anche alla penna dei grandi inviati dei giornali e alle copertine della Domenica del Corriere. Senza dimenticare, sottolinea Anni, che la Prima guerra mondiale «provocò profondi cambiamenti nella montagna: strade, sentieri, grotte, gallerie, paesaggi mutati, boschi tagliati». Temi sviscerati, mentre sono da scrivere le pagine della storia più recente.
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