«Al servizio di Brescia per farla crescere come città d'arte»

Folonari, presidente di UBI Fondazione CAB, riflette sull'operato che ha portato allo sviluppo sociale e culturale del territorio
  • La nuova installazione della metro Vittoria
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Una storia lunga quarant’anni di impegno a favore di Brescia. Per farla crescere dal punto di vista culturale e sociale, investendo su luoghi e persone. UBI Fondazione CAB è una delle istituzioni che hanno contribuito in vari modi a rendere la città più bella, attrattiva e conosciuta. Un ruolo mantenuto saldo nel mutare dello scenario economico-finanziario cittadino.

«Dal 1983, anno del centenario del Credito Agrario Bresciano, la Fondazione ha lavorato in partnership con quattro banche leader nel territorio bresciano e lombardo, ma questo non ha ostacolato la realizzazione di grandi progetti», conferma Italo Folonari, l’imprenditore e banchiere alla guida dell’istituzione.

Italo Folonari - © www.giornaledibrescia.it
Italo Folonari - © www.giornaledibrescia.it

Nel 2019 è succeduto a Pierangelo Gramignola, che a sua volta aveva raccolto il testimone dal padre di Italo, Alberto, alla guida della Fondazione dal 1993 alla scomparsa nel 2016. Con Italo Folonari parliamo del passato, del presente e anche del futuro della Fondazione.

Qual è stato, in concreto, il suo contributo?

«Dalla nascita la Fondazione ha erogato per Brescia l’equivalente di quasi 35 milioni, spesi in opere di alto profilo che hanno aiutato la città a diventare sempre più conosciuta a livello nazionale ed internazionale per i suoi tesori artistici».

I progetti più importanti?

«Partirei dagli anni Novanta quando, con il supporto del CAB, portammo a termine i lavori di restauro di Santa Giulia, classificata dall’Unesco fra i siti Patrimonio dell’Umanità, grazie a un contributo economico corrispondente a 16 milioni attuali. Negli anni Duemila, con Banca Lombarda, ci concentrammo sulla gestione di Santa Giulia. Fummo anche cofondatori di Brescia Musei. Ricordo che il primo presidente fu Angelo Rampinelli, consigliere della Fondazione CAB. Inoltre, demmo un importante contributo, non solo economico, alla stagione delle grandi mostre. Grazie agli oltre 260mila visitatori l’anno Brescia fu scoperta a livello nazionale come città d’arte».

Poi vennero anni difficili...

«Con la crisi del 2008 le risorse si ridimensionarono, ma con il supporto di UBI Banca vorrei ricordare il restauro di Santa Maria della Carità, gioiello del barocco bresciano ancora poco conosciuto dal grande pubblico. Negli ultimi anni l’attività è stata condizionata dal Covid, sia dal punto di vista finanziario che operativo. Nel 2020 abbiamo chiesto alla Banca di destinare le liberalità di nostra spettanza, circa 400mila euro, ad aiutiAMObrescia

Un altro passaggio fondamentale è stata l’Opas di Intesa Sanpaolo.

«È cominciata una nuova era. L’attuale Banca è molto più grande di quanto fosse UBI, ma il ruolo di una grande anca è anche quello di essere vicin ai territori per sostenere i talenti e salvaguardare i patrimoni. Per questo Intesa è da sempre al fianco delle più prestigiose istituzioni, manifestazioni ed eventi in tutta Italia. Basti pensare alle Gallerie d'Italia che in pochi anni è diventato un polo museale e culturale di rilievo internazionale.» 

Come prosegue l’attività della Fondazione?

«Promuove e sostiene progetti culturali e sociali che aiutino a preservare, valorizzare e diffondere la conoscenza dei tesori artistici-storici, dei saperi e delle innovazioni del territorio. Lo facciamo con erogazioni economiche, ma anche con un sostegno sia nella fase progettuale che nella valorizzazione e gestione successiva. Ci sono progetti che continuiamo a seguire a distanza di anni dalla prima erogazione. Altro elemento distintivo della Fondazione è la capacità di realizzare interventi che coinvolgono più soggetti e di natura diversa. Sono i progetti più ambiziosi, ma anche i più difficili da realizzare. La vanità è la prima causa di divergenza tra le persone, specialmente se di successo e ai vertici di importanti organizzazioni. UBI Fondazione CAB, per storia e caratteristica dei suoi rappresentanti, non viene vista come concorrente in quanto antepone il risultato complessivo alle istanze dei singoli.».

Presidente, come guardate al futuro?

«Negli ultimi anni il Consiglio direttivo della Fondazione si è progressivamente rinnovato. Sono entrate nuove generazioni delle famiglie che composero l’azionariato storico della Banca, ma anche autorevoli esperti di arte e cultura, non solo bresciani. Il Consiglio prosegue con il sostegno alle istituzioni cui siamo legati da anni, come Brescia Musei, Ateneo, Vittoriale degli Italiani, Fondazione Ugo da Como, Muse. Tuttavia, la Fondazione si è aperta alle istanze della cultura e della società contemporanea: nuovi linguaggi, innovazione, sostenibilità».

Sentite il peso delle personalità che vi hanno preceduto?

«Ci impegniamo senza guardarci troppo alle spalle. Non voglio correre il rischio di compiacermi dei successi che furono oppure di rimanere schiacciato dal confronto. Un rischio concreto se si pensa che nel Consiglio della Fondazione CAB si sono avvicendate figure eminenti della storia industriale, bancaria e culturale della nostra città: Domenico Bianchi, Piero Beretta, Antonio Spada, Gabriella Lucchini, Luigi Nocivelli, Luciano Sorlini, Corrado Faissola, Pierangelo Gramignola, Angelo Rampinelli Rota, Franco Bossoni, Francesco Lechi, Piero Gandini, Silvia Fidanza per ricordarne solo alcuni».

E suo padre Alberto?

«Non lo dimentico, ma lo cito malvolentieri. Temo che l’elogio del figlio possa dare, a chi non lo ha conosciuto, una immagine distorta della persona che fu. Era un liberale, sostenitore della meritocrazia, educato all’understatement. Lascio al futuro presidente il compito di rendergli i meritati onori».

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