Agape Nulli: «Chiedo la grazia per Erich Priebke»
Non c’è rabbia nelle parole di Agape Nulli. Il suo racconto è percorso dall'imperturbabile serenità dei giusti. Di chi si è lasciato alle spalle l’odio e il rancore e ha scelto di guardare avanti.
Per questo ha intenzione di ripresentare al presidente Giorgio Napolitano la domanda di grazia per l’ufficiale dell’Ss Erich Priebke (che in questi giorni compie 100 e si trova a Roma dove sta scontando la sua pena per l’eccidio delle Fosse Ardeatine), dopo averlo già fatto dieci anni fa al presidente Ciampi. Una richiesta che allora non ebbe risposta.
«Non è una questione di perdono - dice - ma di lasciarci tutti alle spalle l’odio che in quegli anni ci aveva avvelenato la vita».
Che donna, Agape Nulli in Quilleri, che storia, la sua. Ci riceve nella sua casa delle vacanze a Iseo su una terrazza con una vista mozzafiato sul lago. Con semplicità e con un sorriso che ti conquista subito. Lei, Erich Priebke, lo ha conosciuto nel carcere di Canton Mombello quando, a soli 18 anni, venne condotta per un lungo interrogatorio e detenuta per nove mesi dall’agosto 1944 al 25 aprile 1945. Da staffetta della Fiamme verdi, con la sua bicicletta, portava in lungo e in largo per la provincia valige piene di armi ai partigiani sfidando i posti di blocco nazi-fascisti. In carcere ci finisce insieme alla sua famiglia e qui incontra Priebke. Oggi dice: «Ho visto cose terribili e ripensandoci forse lui era meno peggio di altri».
Come ricorda l’incontro con il capitano delle Ss, allora poco più che trentenne? «Mi chiese: "Lei ha letto la Bibbia?". Non so il perché di quella domanda. Forse voleva sapere se ero ebrea. Io ero giovane, ma ero anche furba. E risposi di no. Priebke faceva parte di quel sistema e io per quello non posso perdonarlo ma in realtà i pestaggi e le torture non venivano compiuti da Priebke ma da altri».
C’è anche un altro episodio che Agape, moglie di Sam Quilleri, ex comandante partigiano e deputato liberale scomparso 13 anni fa, ci tiene a raccontare: «Priebke ricevette Camilla Cantoni che aiutava i partigiani e i detenuti che lo contattò a nome del vescovo Tredici. Noi detenuti delle Ss non potevamo avere contatti con l’esterno e nemmeno ricevere nulla, non un abito, non un pacchetto di cibo. Mancavano pochi giorni a San Faustino. Camilla che parlava tedesco, andò nell’ufficio di Priebke e gli chiese se potevano almeno portarci una pastasciutta con il ragù. Sulla scrivania aveva una fotografia con la moglie e i figli. Disse a Camilla: "Non so più nulla di loro da molto tempo". La pastasciutta a San Faustino tutti noi detenuti speciali, alla fine, la mangiammo. Non lo dimenticherò mai».
Lei lo incontrerebbe Priebke? Che gli direbbe? «Non so se gli stringerei la mano, ma penso di sì. Gli direi che entrambe abbiamo fatto la storia e entrambe abbiamo molto sofferto, prima io e poi lui».
E la richiesta di grazia, dunque, la indirizzerà a Napolitano nei prossimi giorni? «Sì, lo farò e penso che dopo tanti anni, il tempo potrebbe essere maturo. Non è una questione di perdono, ma di una sorta di sorpasso dell’odio feroce che avevamo nel cuore. Dico solo che quando ero in carcere e passavano gli aerei alleati per andare a bombardare la Germania. Io urlavo forte "Andate, uccideteli tutti". E il mio cuore era pieno di rancore. E non pensavo che anche tra i loro morti c’erano donne e tanti bambini.
Non voglio più nella mia vita sentire dentro di me l’odio di allora. Oggi mi dispiace averlo provato».
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