A Kiev con Brescia nel cuore e la paura della guerra

«Devo far venire i miei figli qui in Italia, prima che li chiamino alla guerra». La sua voce e il suo sguardo erano più stropicciati dello straccio che teneva in mano e con cui strofinva senza sosta ogni angolo della casa. Anna Sova, ucraina, quando, otto anni fa, pronunciava queste parole aveva 62 anni e da 14 viveva a Brescia, lavorando come colf. Al mattino in una casa, all’ora di pranzo in un’altra, il pomeriggio negli uffici. Si spostava a piedi o con l’autobus, anche quando fuori nevicava o diluviava. Indossava vestiti di seconda mano, in genere quelli che le regalavano le persone per cui lavorava. Non buttava via nulla: dal goccio di latte che rimaneva sul fondo della tazza che i ragazzi lasciavano a colazione, al boccone di pane del giorno prima, ormai secco. Non parlava un italiano fluente, ma salutava sempre, con una combinazione ossimorica di registri: «Ciao signora».
Di solito sorrideva, ma non in quel periodo: «Prima hanno portato via tutti nostri soldi. Janukovyc (l’ex presidente ucraino, ndr) è diventato miliardario, mentre noi morivamo di fame. Adesso si prendono anche i nostri uomini. Li chiamano in guerra. Ma come si fa a combattere una guerra con un fucile ogni cento soldati? Noi mamme siamo disperate», concludeva prendendo lo straccio e ricominciando a pulire la casa in cui prestava servizio a Brescia.
Da quelle parole sono trascorsi, come si diceva, otto anni. Ora Anna Sova è vicina al settantesimo compleanno, ma il tempo sembra essersi fermato ad allora: l’Ucraina rischia un’altra guerra, sempre con la Russia. Qualcosa è cambiato, ma forse in peggio: lei è tornata a casa, a Termopil, città dell’Ucraina occidentale vicina al confine con la Polonia. Dopo quasi vent’anni di lavoro in Italia, adesso Anna è in pensione: «Prendo 100 euro al mese - racconta nella sua abitazione, più fredda del monolocale bresciano in cui alloggiava -, che però, uniti a qualche sussidio qui, mi consentono di sopravvivere».
Ma non è la vecchiaia che avrebbe sperato: «Avevo lavorato tanto per mettere da parte del denaro, lo mandavo a casa, ma quando sono tornata non c’era più nulla. Nel frattempo mio marito ha avuto diversi ictus e adesso le sue condizioni sono instabili, è sempre nervoso. Mio figlio, invece, era venuto con me in Italia, ma lì aveva sviluppato problemi di salute, quindi è dovuto tornare per disintossicarsi. Adesso fa il muratore e lavora un po’ in Ucraina e un po’ in Polonia, mentre sua moglie e sua figlia sono rimaste a Brescia».
Brescia, che ad Anna manca molto e che in questi giorni in cui in Ucraina soffiano venti di guerra appare ancora di più un Paradiso di felicità e serenità: «Soprattutto mi mancano le persone, ne ho trovate tante davvero buone, le sento ancora al telefono e quando ho bisogno di qualcosa non mi fanno mai mancare il loro sostegno: per esempio, presto tornerò nella vostra città per andare alle Acli e mi accompagnerà la signora per cui facevo le pulizie».
La vita, in Italia, era diversa, più tranquilla, momenti felici che continuano a vivere nella galleria di foto conservate sul cellulare: «Tante donne come me non hanno un bel ricordo degli anni trascorsi lontane da casa, io invece so di dovere molto al Paese che mi ha ospitata. Mi sento anche italiana». E forse proprio perché ha provato a vivere lontano dall’Ucraina, ora Anna è anche una delle poche persone che nel suo Paese si trovano a essere molto preoccupate per la situazione politico-militare.
Mentre il governo e le amministrazioni locali sminuiscono il pericolo, e la maggior parte della popolazione non crede che le condizioni possano aggravarsi rispetto a come sono dal 2014, i timori di chi ha sperimentato un ambiente di vita totalmente pacifico si fanno sentire: «In questo momento non ci sono esercitazioni militari o indicazioni di emergenza - precisa Anna -, ma so che se verrà la guerra sarà la fine, questa volta non potrò scappare, perché sono vecchia e la mia famiglia ha bisogno di me. Quanto vorrei essere in Italia, a Brescia...». E stavolta con tutta la sua famiglia.
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