A Brescia 24 morti sul lavoro da inizio anno: perché serve più prevenzione
Ventiquattro vite spezzate sul lavoro in provincia di Brescia in poco più di otto mesi. Quindi 24 casi diversi segnano la negazione di quella «dignità» di cui parla il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Dignità è azzerare le morti sul lavoro che feriscono la società e la coscienza di ognuno di noi». Ecco perché ieri a Brescia un partecipato convegno organizzato dall’Ispettorato territoriale del Lavoro con la Camera di Commercio nella sede di quest’ultima era intitolato «Sicurezza sul lavoro, dal dire al fare». La parte sottintesa, «c’è di mezzo il mare», indica provocatoriamente che per passare dalla teoria alla prevenzione di rischi reali servono ispettori, controlli, dispositivi di protezione, cultura.
Se è difficile riassumere in una risposta le posizioni dei relatori di ieri - invitati dall’osservatorio di cui fanno parte Inps, Inail, Cgil, Cisl, Uil, Legacoop, Confcooperative, Agci - è possibile partire da alcuni punti: i documenti di valutazione del rischio (Dvr) «non devono essere scritti con lo stampino», le figure che rappresentano i lavoratori devono essere ascoltate, il lavoro nero totale o parziale va combattuto, la responsabilità attribuita al «fattore umano» è quasi sempre riconducibile a una falla - evitabile e sottostimata - dell’organizzazione aziendale e non a un atteggiamento del singolo. Che si tratti di chi ha perso la sua stessa vita, di chi è rimasto invalido o chi è stato ferito.
Dai dati sembra filtrare qualche luce se si guarda alla pura flessione numerica nelle denunce di infortuni: nel Bresciano da 12.773 a 9.189 nei primi sette mesi dell’anno in corso (-28%), in Italia un calo intorno ai 20 punti percentuali. Ma il numero di vittime nel Paese è simile al passato: 450 nei primi 6 mesi del 2023, 463 nella prima metà dell’anno scorso. Brescia piange 24 morti (dati Inail) fino all’inizio di settembre: questo riflette lo stesso ordine di grandezza dei 34 del 2022, registrati al 31 dicembre. E comunque le cifre vanno analizzate, come suggerisce uno dei relatori più applauditi in via Einaudi, il professor Giovanni Finotto dell’Università di Ca’ Foscari: «Se ignoriamo i dati falsati dai decessi da Covid per il 2020 e il 2021, osserviamo che nel pre-pandemico 2019 e poi nel 2022 nulla è cambiato: a livello nazionale 1.089 quattro anni fa, 1.090 l’anno scorso. Fa venire i brividi vedere questa costante nonostante le centinaia di migliaia di valutazioni prodotte e i milioni di ore di formazione».Cosa significa, che gli adempimenti di legge sono inutili? No, ma bisogna passare dalla forma alla sostanza: «Non confondiamo obiettivo con adempimento. L’essere umano è fallibile: anche quello prudente e informato può distrarsi. I drammi si evitano se cominciamo a prevedere che il lavoratore possa commettere un errore nei testi dei Dvr e Duvri (il secondo riguarda i rischi interferenti delle attività in appalto, ndr.). Spesso è l’organizzazione che poteva prevedere le evenienze e non l’ha fatto. Bisogna saper valutare, non solo conoscere la legge 81/08 a memoria. E capire che se abbiamo camminato in copertura senza imbragature per anni siamo stati solo fortunati, non esperti».
Alcune delle soluzioni suggerite: i documenti citati non devono essere fotocopie uguali per tutti, come si trattasse di burocrazia inutile; bisogna «premiare i progetti che hanno effetti positivi sulla sicurezza» come rilevato dal presidente della Camera di Commercio Roberto Saccone nell’annunciare che il bando esistente da 60mila euro è stato prorogato al 31 dicembre; va trasformato ciò che si fa per la sicurezza in incentivo; i fatti che non causano danni mortali o malattie ma che avrebbero potuto innescarli - i «near miss» - vengano messi in rete con la piattaforma Condivido.
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