Vigile condannato: dovrà risarcire 80mila euro
L'agente della Locale di Bagnolo Mella dovrà risarcire una 44enne nigeriana che aveva trascinato a processo per lesioni e ingiurie
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L’ha accusata di avergli tirato colpi bassi, in senso stretto, strettissimo. L’ha querelata per averlo costretto a quattro giorni di mutua a calci e ginocchiate. L’ha denunciata per lesioni personali, ma anche per ingiurie.
Alla sua versione - versione di uomo in divisa che ha preferito restar fuori dal processo e non si è costituito parte civile - e all’accusa di resistenza a pubblico ufficiale contestata in automatico, nel corso del processo alla lunga non crede nessuno. Non la difesa, e pace. Non il pubblico ministero Rosanna Rossetti, e passi. Ma non ci crede neppure il giudice, e qui la cosa, per lui, si complica.
Il Tribunale, su richiesta del pm, manda assolta l’imputato perché il fatto non sussiste. Non solo: ravvede nella condotta dell’agente gli estremi di una «querela infondata» o, meglio, «fondata su una colpa grave» e lo condanna quindi a risarcirle 80mila euro per il danno fisico, morale e biologico patito.
La sentenza è dello scorso venerdì. I fatti, che il verdetto inquadra in una prospettiva completamente ribaltata rispetto a quella esposta nell’atto d’accusa, invece risalgono all’aprile di quattro anni fa.
Ad ospitare la scena è Bagnolo Mella. Ne sono protagonisti una 44enne nigeriana e un 48enne agente della polizia locale bagnolese. Lei protesta contro gli operatori dell’istituto di vendite giudiziarie Socov che stanno pignorando alcuni beni del suo negozio. Lui è di supporto agli agenti pignoratori.
Per mettere in salvo un suo congelatore la commerciante africana sale sul furgone di questi ultimi. Finisce a contatto col vigile. Quello che accade di lì in poi è materia d’avvocati. Arriva un’ambulanza. Si fanno medicare entrambi. Anche lei si fa refertare. Ad oggi, riferisce il suo avvocato, convive con dolori ad un ginocchio e con le stampelle. Ai carabinieri entrambi dicono le stesse cose, l’uno dell’altra. Si arriva a processo.
Chiamati a testimoniare davanti al giudice sfilano la vittima presunta, un suo collega e i due dipendenti di Socov. L’imputata non dubita di avere ragione, ma si crede ugualmente spacciata, come scrive nell’istanza con la quale chiede il risarcimento del danno il suo difensore, l’avvocato Giuseppina Coppolino del foro di Mantova. Il legale non evidenzia solo quello. Mette in luce tutti i dubbi circa la condotta dell’agente della locale, la sovrapponibilità della sua versione con quella degli altri testimoni, ma anche la ripetitività da decimale periodico delle loro contraddizioni.
Il giudice è persuaso dalla ricostruzione difensiva, assolve l’imputata e «condanna» il querelante a 80mila euro (70mila in più rispetto a quelli chiesti dall’avvocato della donna). Di fronte al provvedimento ora il 48enne sta valutando il non facile rimedio giudiziario con l’assistenza di un legale: possibile un suo ricorso ai giudici d’appello, da non escludere quello per Cassazione.
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