Bassa

Un anno fa il dramma di Francesco Scalvini colpito dai rapinatori

Il 37enne di Ghedi al quale venne conficcato un cacciavite in testa è ancora in un letto d’ospedale
SCALVINI, UN ANNO FA IL DRAMMA
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Stavano montando un cancello all’ingresso della bifamiliare al 22 di via Petrarca a Ghedi un anno fa. Oggi quel cancello è stato installato. Unica differenza in un quadro drammaticamente rimasto tale e quale a quello del 23 gennaio del 2017 quando Francesco Scalvini, elettricista di 37 anni, veniva colpito alla testa da un gruppo di rapinatori entrati nell’appartamento del padre Giancarlo.

Una banda dall’accento straniero, ancora libera di agire perché mai è stata individuata e arrestata, che aveva reagito al tentativo di padre e figlio di bloccare la loro fuga. «Mi hanno chiamato dicendomi che c’era qualcuno in casa. Allora ho telefonato a Francesco che è arrivato immediatamente» fu il racconto di Giancarlo Scalvini. «Ci siamo incrociati con i ladri. Mentre noi arrivavamo, loro scappavano. Ho tentato di avvicinarmi e hanno cominciato a picchiarci» spiegò l’uomo, 74 anni, vedovo.

Gli Scalvini affrontarono due malviventi mentre stavano salendo sull’auto del complice. I rapinatori colpirono il padre con pugni e calci, poi presero un cacciavite e lo conficcarono in testa al 37enne che perse immediatamente i sensi. E che da quel giorno non si è mai ripreso. Oggi Francesco Scalvini è infatti ancora in un letto d’ospedale e dopo dodici mesi di coma, in seguito ad un delicato intervento chirurgico al quale venne sottoposto la notte stessa dell’aggressione, i segnali di ripresa sarebbero minimi. Dalla clinica Poliambulanza, dove è rimasto ricoverato fino a poche settimane fa, è stato trasferito in una struttura a Castiglione delle Stiviere.

La moglie, sempre presente al fianco del marito, da un anno è chiusa nel silenzio e nel dolore. Soffre accanto ad un uomo che non è più lo stesso che ha sposato e non pensa ad un’indagine ferma al punto di partenza. O quasi. Carabinieri e Procura della Repubblica hanno lavorato su pochi elementi fin da subito. La descrizione dell’auto utilizzata per scappare da Ghedi, «una Bmw scura» hanno sempre detto le vittime, qualche impronta isolata nell’appartamento di Giancarlo Scalvini e nulla di più. Non c’è mai stato un solo fotogramma utile perché le telecamere di sicurezza installate in strada erano disattive e non funzionanti la sera del 23 gennaio di un anno fa. I carabinieri, avvertiti solo a dramma ormai consumato, si trovavano a due isolati di distanza per un litigio avvenuto in un bar quando la furia cieca di un gruppo di rapinatori si abbatteva su Francesco Scalvini, la cui esistenza è rovinata per sempre.

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