Bassa

Terrorismo, «avevano manuale web per addestramento»

I due arrestati disponevano di un manuale per addestramento. Nel mirino anche una ditta di ortofrutta in cui uno di loro faceva le pulizie
I due arrestati
I due arrestati
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Nel mirino dei due uomini arrestati nel blitz antiterrorismo questa notte Brescia, il tunisino Lassaad Briki, 35 anni, e il pakistano di 27 anni Muhammad Waqas, c’era anche una ditta di ortofrutta. Lo ha spiegato il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli, che ha coordinato l’inchiesta condotta da Digos e Polizia postale, nel corso di una conferenza stampa. Oltre alla base militare di Ghedi e a «generici riferimenti a forze dell’ordine», c’era anche la ditta di ortofrutta, nella quale lavorava il tunisino come addetto alle pulizie. Romanelli ha chiarito però che non c’è mai stato «un pericolo concreto». Al momento erano solo "parole".

Il tunisino e il pakistano, oltre a parlare di obiettivi da colpire in Italia e di partire per la Siria per addestrarsi e combattere con l'Is, avevano scaricato dalla rete un manuale per i "mujahidin occidentali". Il manuale, che il tunisino avrebbe girato a quello pakistano dopo averlo scaricato dalla rete, si intitola "How to survive in the West", una guida di «autoaddestramento» per mujahidin che vivono in Occidente composta di 12 capitoli. Si va da «come nascondere l'identità da estremista» a come «guadagnare soldi» alla «internet privacy» fino alle armi «primitive e moderne», alle «bombe fatte in casa» e allo «scappare per salvarsi».

Come è stato ricostruito nella conferenza stampa, il tunisino, in particolare, nelle conversazioni intercettate dell'ultimo periodo, «a prescindere dall'addestramento per partire per la Siria, mostrava preferenza per azioni di attentati da compiere in Italia» e, dopo che il cruscotto della sua auto è apparso in uno dei selfie di minacce, il 35enne aveva venduto subito la macchina. Dopo che, a fine aprile scorso, erano apparse sulla stampa le foto con i messaggi minatori «alle istituzioni italiane», i 2 presunti terroristi avevano rallentato la loro attività telematica fino all'oscuramento degli account di Twitter usati per la propaganda jihadista. Per il direttore del Servizio centrale antiterrorismo della polizia di Stato Lamberto Giannini, la «ingenuità» da parte dei due presunti jihadisti di postare le foto minatorie sugli account «non è fattore di minore pericolosità, anche perchè i due volevano portare un messaggio di paura». In alcuni post gli arrestati scrivevano «noi siamo i mujahidin».

 

 

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