Strazio dei genitori: «Ridateci Gianluca, lontano da 113 giorni»
«Da 113 giorni non vedo mio figlio. È una persona disabile, ospite di una struttura sanitaria»: è carico di sofferenza e frustrazione lo sfogo di Luciano Binosi. Ormai da mesi, né lui né la moglie Anna hanno più potuto accogliere a casa il loro Gianluca, come erano soliti fare nel fine settimana: l’ultimo abbraccio fra i tre risale al 21 febbraio, prima del lockdown.
Da allora i contatti sono avvenuti solo in videochiamata o sì dal vivo, ma a distanza: fuori dal cancello, i genitori salutano il 41enne sul balcone del «Firmo Tomaso» di Villa Carcina che lo ospita e dove non si sono registrati malati Covid-19. «Fortunatamente Gianluca non ha problemi di salute ed è coccolato dal personale, che ringraziamo per le cure prestate - dicono mamma e papà -. Tuttavia nel suo sguardo leggiamo forte il desiderio di tornare a casa, a Calvisano».
Difficile da accettare, la situazione - al limite dello sfinimento emotivo - è quindi tanto delicata quanto bloccata. Ad oggi dalla Regione Lombardia non giungono novità in merito, nemmeno nella delibera XI/3226 del 9 giugno. Qui, ad onor del vero, continua la «confusione» fra Rsa e Rsd, investite dagli stessi provvedimenti (ossia «tutto chiuso»), per paura di contagi e della relativa probabilità di decessi. «Hanno un’utenza diversa - lamenta però Luciano Binosi -: non si dovrebbero uniformare gli interventi». Ad ogni modo, «pur condividendo tali istanze, siamo obbligati ad osservare le disposizioni regionali - osserva Felice Garzetti, responsabile della struttura valtriumplina in questione -: vietati incontri e rientri a domicilio fino al 31 luglio».
Così i pazienti disabili continuano a rimanere purtroppo isolati. E ciò non migliora certo il loro benessere psicofisico, in particolare per i casi riconosciuti gravi. Al contrario «la privazione delle figure guida è destabilizzante - osservano dal Forum Terzo Settore, Alleanza cooperativa italiana, Anffas, Arlea, Lehda, Ceal e Cnca - comporta regressione clinica, con ricadute in forme depressive e aggressive». E lo sconforto inevitabilmente cresce nelle famiglie. «Ci sentiamo invisibili agli occhi di chi decide - concludono Luciano ed Anna -. Non sappiamo quanto riusciremo ancora a sopportare il distacco forzato. Siamo pronti ad adottare ogni comportamento per salvaguardare la salute degli altri ospiti, speriamo che prevalga il valore umano e che qualcosa si muova presto: non siamo gli unici a vivere questa problematica, una soluzione va trovata al più presto».
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