Bassa

Radio Kiev: «I russi lasciano i morti, ma non gli oggetti rubati»

Slava è un uomo di 48 anni che vive nella Bassa Bresciana e che ogni sera si collega con amici e parenti che vivono sotto gli attacchi dei russi
Una donna nella sua casa in Ucraina - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
Una donna nella sua casa in Ucraina - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
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Un ponte tra l'Italia, dove vive, e l'Ucraina, dove è nato e cresciuto. Slava è un uomo di 48 anni che vive nella Bassa Bresciana e che ogni sera si collega con amici e parenti che vivono in città e villaggi sotto gli attacchi dei soldati russi. Ogni giorno, attraverso Slava, parleremo con chi sta vivendo la guerra in prima persona: questo progetto si chiama «Radio Kiev» ed è a cura di Tonino Zana.

Slava ci racconta che sui campi battaglia non si trovano soldati russi provenienti da Mosca o da San Pietroburgo. L'identità geografica di chi si trova disteso e morto sul terreno ucraino dice di paesi e piccole città di campagna, di posti della Siberia. Spiega Slava: «Si capisce perché questi soldati provenienti da posti degradati rubano televisori, computer, tappeti, ogni cosa possibile nelle nostre case, perché loro non hanno niente. Vivono in una degradazione totale».

La storia ogni tanto si ripete. Le lapidi dei nostri monumenti ai Caduti, soprattutto nella prima guerra mondiale, parlano di villaggi montani, di paesi di pianura, di contrade del sud. Le grandi città hanno partecipato in modo diverso alla guerra. 

Slava adesso ripete il timore degli ucraini, il timore che ci si abitui al peggio. La paura di trovarsi alla vigilia della monotonia dell'orribile, all'assuefazione al delirio. Gli ucraini, ci spiega Slava, temono, quasi, che l'Occidente si stanchi di assistere a ciò che è la morte rappresentata in ogni sua oscenità. 

Non pretende dall'Occidente ciò che è impossibile però ripete quanto dice da quaranta giorni: «Convincetevi, noi ucraini siamo soltanto il banco di prova del disegno di Putin: lui vuole riprendersi le terre appartenute all'Unione Sovietica prima della caduta del muro di Berlino nel 1989. O lui o noi, la trattativa non esiste e se si dovesse concludere con la rinuncia di una parte del sud dell'Ucraina, noi non accetteremmo mai».

Non siamo stanchi della nostra pietà, caro Slava, delle nostre commozioni e sappiamo bene che le morti e le crudeltà ci appartengono per destino comune su questa terra. Aspiriamo a un cessate il fuoco, a un respiro per portare via le morti in strada, per eseguire i funerali, pregare e riprendere qualche grammo complessivo di buon senso. Va recuperato, almeno in parte, il punto dove ritrovare quello che siamo stati fino a quaranta giorni fa. 

«I russi non concederanno il cessate il fuoco. E i loro soldati cercano di compensare le loro disperazioni con le ruberie, con le razzie. Vi racconto una storia, proprio filmata. I russi scappano da Kiev, lasciano i loro cadaveri e portano via quello che hanno rubato, tappeti, televisori, computer, telefonini. Vicino a Kharkiv, i nostri hanno catturato dei soldati russi, si erano ribaltati con il camion invece di scappare stavano lì a raccogliere ciò che avevano rubato.

Ripeto: i nostri, sui campi di combattimento non hanno mai trovato un soldato di Mosca e San Pietroburgo. L'esercito russo è formato da persone che vivono in posti degradati e quando arrivano nelle nostre case trovano e vedono oggetti mai visti. Ci sono uffici postali organizzati per i soldati russi e le cose rubate le mandano in quei posti. Ho ascoltato un'intercettazione nella quale il soldato russo racconta al telefono cosa ha rubato e riceve nuovi ordini dai suoi parenti, prendi questo, prendi quest'altro...

Tutto viene inviato in uffici postali creati al confine con la Bielorussia e da lì inviati alle case dei soldati russi. Nei prossimi dieci giorni si capirà meglio. I russi hanno riunito 100 mila uomini e il nostro esercito cerca di fermarli, il combattimento è molto duro. Noi diciamo sempre la verità anche se crudele. Quello che mi preoccupa è che si avvicinano alla nostra città a 120 km da Dnipro dove c'è mia madre e i miei parenti. Adesso sono a 80 chilemetri da casa mia. Se perdiamo, le nostre case saranno attaccate».

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