Omicidio Desirée Piovanelli, il papà: «Non chiudete il caso»
I tabulati telefonici dell’epoca e le telefonate fatte da uno dei minori poi condannati, immediatamente prima e immediatamente dopo l’omicidio. Chiamate tutte dirette allo stesso numero. Una selezione riconducibile ad una famiglia straniera che all’epoca gravitava a Leno.
C’è soprattutto questo tra gli elementi di possibile prova che gli avvocati Cesare Gualazzini e Alessandro Pozzani hanno sottoposto all’attenzione del giudice delle indagini preliminari Riccardo Moreschi nel tentativo di convincerlo a disporre nuove indagini sul caso Desirée. Opponendosi alla richiesta di archiviazione formulata un anno fa dal sostituto procuratore Barbara Benzi, i legali di Maurizio Piovanelli - il papà della ragazzina uccisa alla cascina Ermengarda a Leno nel settembre di 19 anni fa - indicano la strada lungo la quale a loro avviso si può trovare la conferma di una regia occulta a monte del delitto attribuito a Nico, Nicola e Mattia e a Giovanni Erra, l’unico adulto del branco e l’unico attualmente in carcere per scontare la sua condanna a trent’anni.
C’è la pista da seguire per arrivare alla conferma che l’omicidio sarebbe maturato in ambienti di prostituzione minorile e pedofilia. L’udienza dedicata alla esposizione delle ragioni per le quali secondo gli avvocati della famiglia Piovanelli il caso dovrebbe essere riaperto è durata circa un’ora e non si è conclusa con una decisione. Il gip se l’è riservata. Ha dieci giorni di tempo per pronunciarsi, ma il termine non è perentorio e potrebbe prendersene di più. Il sostituto procuratore Barbara Benzi che, nel corso dell’inchiesta avviata dal padre della ragazzina con un esposto, ha interrogato i quattro condannati per l’omicidio con sentenze definitive non ha trovato conferme ai sospetti di papà Piovanelli.
I tre minorenni hanno ribadito quanto già dissero all’epoca. Uno di loro ha precisato: «Se avessi saputo qualcosa l’avrei detto sin da subito». Nonostante i processi e le condanne definitive, l’eco attorno all’omicidio di Desirée Piovanelli non si è mai spenta. Per la procura però è stata alimentata sempre e solo da voci di paese.
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