L'omicidio di Desirée Piovanelli, un dolore lungo 20 anni: la ricostruzione
È stata una delle prime volte in cui la cronaca nera in Italia ha usato la parola «branco». Il caso dell’omicidio di Desirée Piovanelli è una storia che per i bresciani, e non solo, è impossibile dimenticare. Non solo perché per molti è una ferita aperta, ma anche perché alcuni aspetti della vicenda furono scioccanti per un'intera comunità. Quella di Leno, paese della Bassa bresciana dove la 14enne viveva con la famiglia e dove è stata uccisa. A pochi passi da casa.
A 20 anni esatti dal giorno in cui la ragazza sparì dalla sua casa di Leno, ricostruiamo il caso, tappa dopo tappa.
Lo abbiamo fatto in una longform che potete leggere qui di seguito, arricchita con foto e video d'archivio, ma anche nel primo episodio di «Delitti bresciani», il podcast del Giornale di Brescia dedicato ai grandi casi di nera e giudiziaria, che potete ascoltare gratuitamente cliccando play nell'oggetto qui sotto o a questo link e su Spotify.
A Leno c’è ancora molta attenzione sull'omicidio di Desirée Piovanelli, anche a causa degli ultimi sviluppi, non solo giudiziari. È infatti di poco più di un anno fa, agosto 2021, l’archiviazione dell’inchiesta bis che era stata fortemente voluta da Maurizio Piovanelli, padre della vittima. Con i suoi legali Cesare Gualazzini e Alessandro Pozzani, Piovanelli nel 2018 aveva presentato un esposto alla Procura di Brescia, sostenendo l’esistenza di un mandante dell’omicidio, che secondo lui sarebbe legato a un giro di prostituzione minorile. Dopo l’apertura di un fascicolo da parte del sostituto procuratore Barbara Benzi, sono state interrogate diverse persone, compresi i quattro ritenuti gli autori materiali dell'omicidio e condannati in via definitiva.
Si tratta dei tre minorenni all’epoca dei fatti - Nicola, Nico e Mattia, condannati rispettivamente a 18, 15 e 10 anni e che hanno scontato la loro pena - e Giovanni Erra, l’adulto del gruppo, condannato a 30 anni e ancora in carcere a Bollate (Milano). Il gip Riccardo Moreschi, nel decreto di archiviazione, aveva però disposto il «mantenimento di sequestro del profilo di Dna ignoto (...) nella possibile sopravvenenza di ulteriori elementi». Una frase che, soprattutto per la famiglia Piovanelli, rappresenta una speranza che non si spegne. «Manca ancora un pezzo di verità» ripete il padre.
Ma ripartiamo dall'inizio.
28 settembre 2002: la scomparsa
È sabato pomeriggio. Dopo aver detto che sarebbe andata da un’amica a studiare, Desirée esce alle 14.30 e non torna più a casa. Preoccupati anche dal cellulare spento, la famiglia dopo poche ore denuncia la scomparsa. Marika, che vive a pochi metri, dirà ai carabinieri che non avevano alcun appuntamento e che Desy - come la chiamano parenti e amici - non è mai stata a casa sua. Nella villetta a schiera di via Romagna restano ad aspettarla i genitori e i tre fratelli. Sarà un'attesa senza fine.
Quella sera, scatta la denuncia di scomparsa.
29 settembre 2002: il messaggio
Passa la prima notte e domenica alle 8.46, sul cellulare di Ivano, fratello 16enne di Desirée, arriva un sms: «So che mi state cercando, ma non vi dovete preoccupare. Io sto bene e sono con Tony, non torno a casa, voglio stare con lui». Il numero non è quello della ragazzina, nonostante il messaggio sia firmato con il suo nome. Tony è un coetaneo di Cremona per cui Desirée ha una simpatia. Al momento dell'arrivo dell'sms si trova in caserma perché i carabinieri lo stanno ascoltando: non c'entra nulla con la scomparsa, nelle ultime ore non l'ha incontrata.
Mentre pattuglie di carabinieri setacciano la zona, nella caserma di Verolanuova iniziano gli interrogatori del sostituto procuratore Silvia Bonardi. È una fase in cui ancora si cerca una ragazzina scomparsa e non una vittima di omicidio.
Tra le persone che vengono sentite ci sono anche i compagni di classe di Desirée, che frequenta il primo anno del liceo Pascal di Manerbio. Tutti la descrivono come una ragazza tranquilla, socievole. E che non si sarebbe mai allontanata volontariamente.
2 ottobre 2002: la scheda telefonica
Analizzando i tabulati telefonici, gli inquirenti risalgono al mittente dell’sms arrivato al fratello di Desirée. È stato scritto da una cabina telefonica di Leno posizionata a pochi metri dalla casa dei Piovanelli: qualcuno, usando una scheda prepagata a scalare, ha mandato quel messaggio. La tessera appartiene a una donna di Trieste, che viene interrogata e spiega di averla smarrita ad agosto al campeggio Waikiki di Jesolo. Il cerchio si stringe.
Maurizio Piovanelli, un padre sempre più disperato ma che non perde mai lucidità, fa un appello davanti alle telecamere di Teletutto, rivolgendosi a quello che lui crede essere un sequestratore: «Se hai una coscienza, libera Desirée».
3 ottobre 2002: il primo sospettato
Il giorno successivo, i rilfettori si accendono su un primo sospettato. Il sostituto procuratore Silvia Bonardi interroga Nicola. Fa il muratore, ha 16 anni ed è vicino di casa della famiglia Piovanelli: ha passato le vacanze estive proprio a Jesolo con i genitori. Di lui, nel suo diario, Desirée aveva scritto: «Persona da non frequentare».
Il ragazzo - che la conosce fin da quando sono bambini - spiega di aver inviato l’sms per scherzo, ma nega di avere a che fare con la scomparsa. Sulle braccia, nascosti dalle maniche della felpa, Nicola ha dei graffi. Il magistrato non si fida. Si trova davanti un ragazzino visibilmente preoccupato. Troppo per non aver fatto nulla di male.
Ed è a questo punto che Nicola crolla. Intercettato con microfoni ambientali nascosti in una stanza della caserma, confessa al padre di aver ucciso Desirée in uno scatto di rabbia: si erano dati appuntamento in un luogo isolato, avevano litigato e lei - secondo quanto dice il giovane - lo aveva insultato. «Mi ha detto sei uno scemo, non vali nulla e io l’ho uccisa». Nicola dichiara anche che è stata lei a estrarre un coltello e che lui ha solo cercato di difendersi.
4 ottobre 2002: il ritrovamento
Dopo un interrogatorio drammatico, Nicola accompagna gli inquirenti sul luogo del delitto: la Cascina Ermengarda, un rudere abbandonato poco fuori dal centro del paese, ma di fatto dietro casa di Desirée. La scena che gli inquirenti si trovano davanti agli occhi è da film dell'orrore. A terra al primo piano c'è il corpo della 14enne: senza vestiti, martoriato da 33 coltellate. Attorno, sul pavimento, diverse tracce di sangue, impronte e i segni di un trascinamento. In un'altra cascina a un paio di chilometri di distanza i militari trovano anche l’arma del delitto: un coltello da cucina con una lama da venti centimetri. La convinzione di chi indaga, però, è che Nicola non possa aver fatto tutto da solo.
L'intuizione è corretta. Nicola non era solo al momento dell'omicidio. Lo dice lui stesso e fa anche dei nomi. Sono suoi amici, tutti minorenni. Chiama in causa Mattia, 14 anni, anche lui di Leno. All’inizio dice di non sapere nulla, poi anche lui ammette. Piange, si dispera. Fornisce nuovi dettagli e salta fuori un terzo nome: Nico, 16 anni, pure lui di Leno. Pure lui amico di Desirée. È l'unico del gruppo che nega e negherà anche dopo la condanna definitiva.
Ottobre 2002: gli arresti
Il pm Silvia Bonardi firma l'arresto dei tre minorenni, che il Gip convalida. Nicola, Nico e Mattia vanno in carcere. Sono accusati di sequestro di persona, violenza sessuale e omicidio volontario. Ma non è l'ultimo atto delle indagini. Manca un tassello, che risponde al nome di un adulto.
L'inchiesta porta a Giovanni Erra, che ha 36 anni ed è di Leno. Fa l'operaio in una fonderia, è sposato, conosce Desirée perché vive nella casa di fronte alla sua e perché lei è la baby sitter di suo figlio, che ha 8 anni. Erra è un consumatore di alcol e droga e, nonostante l'ampia differenza di età, frequenta Nicola, Nico e Mattia, con cui passa parecchio tempo. Nega, ammette, ritratta. E alla fine anche lui finisce in carcere.
Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip Roberto Spanò definisce la sua personalità «marcatamente aggressiva e infantiloide, non in grado di arginare gli impulsi perversi presenti nella propria sfera sessuale». Le indagini dicono che con Desirée si scambiava messaggi e che addirittura era arrivato a provare un sentimento nei confronti della ragazzina.
Gennaio 2003: le analisi dei Ris
Con i quattro arresti, le indagini non si fermano. Ci sono aspetti da chiarire, scene da cristallizzare, responsabilità da attribuire. Coordinati dal colonnello Luciano Garofano, i Ris di Parma scandagliano Cascina Ermengarda alla ricerca di prove. Tre mesi dopo l’omicidio, i risultati delle analisi che confermano quanto già era trapelato: è stato un massacro.
I carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche trovano tracce di sangue di Desirée al piano terra, lungo le scale e nelle due stanze al primo piano. Sui gradini ci sono anche tracce del sangue di Nicola, che sono pure sul fazzoletto vicino al corpo.
L'autopsia stabilisce che delle 33 coltellate, le quattro ferite principali inferte alla ragazza sono due nella schiena, una al torace e una lesione al collo lunga 17 centimetri e profonda 9. Chi l'ha uccisa ha tentato anche di farla a pezzi e addirittura alcune coltellate sono state vibrate quando Desirée Piovanelli era già deceduta. Una anche nelle parti intime. La 14enne è morta il 28 settembre 2002, nello stesso pomeriggio in cui è uscita di casa.
Nella ricostruzione, il calvario è durato un’ora: prima è stata picchiata, poi colpita da una prima sequenza di coltellate da cui cerca di fuggire, riacciuffata viene di nuovo percossa, trascinata per le scale, accoltellata alla schiena mentre tenta di scappare dalla finestra e infine uccisa con fendenti alla schiena e alla gola. Si legge negli atti: «La causa della morte è da identificarsi in un'anemia emorragica acuta da lesioni polmonari prodotte con strumento da punta e taglio (...). Sulla salma della defunta sono presenti plurime lesioni da taglio alle mani, caratteristiche "da difesa" nel tentativo di afferramento della lama». Desirée aveva cercato di difendersi, con tutta la forza che aveva.
Si apre il processo: la primavera successiva all'omicidio, i minorenni vengono condannati.
9 aprile 2003: le condanne ai minorenni
Poco prima delle 23, il giudice del Tribunale dei minori Beniamino Spizuoco legge la sentenza: 20 anni di carcere per Nicola, 16 per Nico e 10 per Mattia. Tutti e tre sono colpevoli dell’omicidio di Desirée Piovanelli, del suo sequestro e delle violenze. Nicola viene individuato come esecutore materiale: per i giudici lui ha attirato la vittima nella cascina con la scusa di mostrarle una cucciolata di gattini e lui è stato l’unico ad usare il coltello.
Nelle motivazioni della sentenza, 104 pagine, i tre minorenni vengono definiti «eticamente anestetizzati» e determinati a far pagare alla ragazza i ripetuti rifiuti alle loro attenzioni sessuali.
Qualche mese dopo, a ottobre 2003, gli avvocati Stefano Ricci, Piergiorgio Vittorini e Alessandro Ferrari ottengono un lieve sconto di pena per i tre ragazzi dopo il ricorso in appello. La condanna di Nicola, a cui non viene più riconosciuta l’aggravante della premeditazione, si riduce di due anni, mentre quella di Nico si riduce di sei mesi. Le condanne diventano definitive in Cassazione a luglio 2004. A gennaio del 2005, Mattia lascia l’istituto Beccaria per entrare in una comunità, dove affronta un programma riabilitativo.
2005-2006: i processi a Erra
Manca ancora un processo: quello all'adulto del gruppo. In primo grado Giovanni Erra viene condannato all'ergastolo, ma in appello ottiene uno sconto di pena: il calcolo si ferma a 20 anni. L'opinione pubblica grida allo scandalo. La Cassazione non mette la parola fine, ma anzi riporta il processo un grado indietro. Brescia non ha più sezioni e il nuovo processo viene celebrato davanti ai giudici della Corte d'Assise d'Appello del Tribunale di Milano, che condannano Erra a 30 anni.
Nelle motivazioni, depositate a aprile 2006, Erra viene definito un «adulto bambino» con una personalità «insensibile e disumana». «La sua partecipazione al fatto nella sua qualità di adulto - si legge negli atti - ha contribuito notevolmente a rafforzare il proposito delittuoso dei tre minori, i quali, senza il conforto dell'adulto, verosimilmente non avrebbero coltivato quel proposito». La condanna a 30 anni diventa defintiva.
Ad oggi, Giovanni Erra è l'unico in carcere, i tre minorenni hanno tutti scontato la pena. Caso chiuso? Per la giustizia italiana sì. Per la famiglia Piovanelli non ancora.
Giugno 2018: l’esposto della famiglia
Sedici anni dopo, la famiglia Piovanelli continua a non rassegnarsi e pretende ulteriore giustizia. Lo sostiene il padre Maurizio, che il 29 giugno 2018 deposita un esposto in Procura. «Nonostante siano stati individuati da parte degli inquirenti coloro che potevano essere i colpevoli dell'uccisione di Desirée, da parte mia così come della mia famiglia non ho mai smesso di pensare che in realtà ci sia un mandante e che il movente sia un altro e non certamente l'omicidio a sfondo sessuale, ma che mia figlia sia stata uccisa per altre finalità e progetti» scrive nell'atto.
Ed entra nel dettaglio: «In particolare in questi anni, ma soprattutto in quest'ultimo periodo - denuncia Maurizio Piovanelli - mi è stato riferito che nella zona della Bassa bresciana, anche a Leno e dintorni, venivano organizzati dei festini a luci rosse e le ragazzine minorenni venissero adescate da pedofili e sfruttatori e poi messe alla mercé di facoltose persone tra cui imprenditori, per soddisfare i desideri sessuali in cambio di denaro e droga».
E poi con i suoi legali porta all'attenzione un particolare: «Sulla spalla e sulla manica del giubbino che Desirée indossava il giorno della morte erano stati isolati profili genetici mai associati». Già nella consulenza del 30 dicembre 2002, il medico legale Nicoletta Cerri scriveva: «I due profili identificati sul giubbino e su uno dei fazzoletti appartengono a due soggetti di sesso maschile diversi dagli indagati di cui si sono acquisiti profili certi».
Il fascicolo viene affidato al sostituto procuratore Barbara Benzi e il caso torna in primo piano. Intervistato dal Giornale di Brescia a aprile del 2019, Nico - uscito dal carcere e unico ad aver scelto di restare a vivere a Leno - dichiara: «Il papà di Desirée dice che io so qualcosa di più? È un suo pensiero. Se io avessi saputo qualcosa l’avrei detto fin da subito. Io alla Cascina Ermengarda non sono mai stato, di me non hanno mai trovato una sola traccia, nemmeno un capello».
Marzo 2019: il fantoccio e il volantino
Il clima in paese si fa pesante. Appeso al cancello di casa Piovanelli, viene ritrovato un fantoccio con un teschio, legato come fosse impiccato.
Non sarà l’unico episodio di questo tipo: seguirà un volantino anonimo, in formato A4, scritto in stampatello e al computer e affisso sullo sportello di un contatore del gas a Leno, all’incrocio tra via Solferino e via Damonte. Nel testo Piovanelli viene definito «un miserabile» e vengono chiamate in causa altre due persone. Non due nomi qualunque: uno è l’imprenditore che mesi prima aveva presentato un esposto indicando il presunto mandante del delitto, l’altro è il padre di una ragazza vittima di un giro di prostituzione minorile che con la sua denuncia aveva fatto arrestare un residente a Leno, condannato a 8 anni di carcere.
Agosto 2021: l’archiviazione dell’inchiesta bis
In Tribunale a Brescia, il pm dell'inchiesta bis chiede l'archiviazione. Il motivo? Lo dicono gli atti. «Non esiste prova che nel 2002, anno della morte di Desirée, esistesse a Leno un giro di spaccio di droga intrecciato con la prostituzione minorile. I fatti nei quali sono state coinvolte alcune ragazze e l'uomo condannato a otto anni di carcere per pedofilia sono infatti successivi e come tali nulla dimostrano al riguardo» scrive il magistrato, che aggiunge «non esiste pertanto alcun elemento, se si escludono le chiacchiere di paese e le voci prive di riscontri, che consente di provare una responsabilità anche per l'omicidio di Desirée delle persone che avevano dato vita a questo giro e lo avevano gestito o comunque vi avevano avuto a che fare».
Il magistrato ha interrogato anche tutti i condannati in via definitiva. Giovanni Erra, Nico, Nicola e Mattia. «Tutti, pur potenzialmente interessati ad una revisione del processo hanno categoricamente negato il concorso nel delitto di un ulteriore esecutore materiale, ovvero di un mandante occulto» mette nero su bianco il pm Barbara Benzi.
La famiglia Piovanelli si oppone all'archiviazione. Chiede nuovi indagini sui profili di Dna mai analizzati e anche sui tabulati telefonici. Risulta infatti che Nicola, esecutore materiale del delitto, quel pomeriggio ha contattato più volte lo stesso numero telefonico. Un primo sms alle 14.40 e poi numerose chiamate, di cui le ultime due intervallate tra loro da circa un'ora di silenzio. «Tutto fa pensare - scrivono gli avvocati Alessandro Pozzani e Cesare Gualazzini - che i primi contatti abbiano preceduto l'omicidio con Nicola che intendeva probabilmente comunicare al suo interlocutore che la vittima era caduta nella trappola. L'ultima telefonata, invece, per la comunicazione del reato o per dar conto dello stesso».Il 23 luglio 2021 il gip Riccardo Moreschi archivia definitivamente l'inchiesta bis sull'omicidio di Desirée Piovanelli. il giudice però lascia aperto uno spiraglio e dispone la conservazione dei profili di Dna maschile, rintracciati sulla spalla e sulla manica del giubbino che Desirée indossava il giorno della sua morte. Secondo Cesare Gualazzini, avvocato della famiglia: «Le voci che sono circolate in paese hanno basi solide ma non c’è stato nessuno che ha fornito elementi certi per una generale diffidenza della gente nei confronti della Legge, della paura di trovarsi da testimone a indagato o vittima. Succede dappertutto ed è accaduto anche a Leno».
Sono passati 20 anni dal massacro di Desirée Piovanelli e la Cascina Ermengarda è stata abbattuta per lasciare spazio a un residence. «Ma manca un pezzo di verità sull'omicidio di mia figlia» ripete il padre.
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