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«Io ci sto»: perché il video in realtà non fa ridere

Nato per avere una platea di persone ristretta il video ha fatto milioni di visualizzazioni. La spiegazione dell'esperto Fabrizio Martire
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La verità, vi prego sul quel video. Sì, perché se è vero che i due minuti di presentazione della filiale, dei dipendenti, dei servizi offerti, conditi da sorrisi e canzoncina, sono nati per una platea ristretta di persone è altrettanto vero che, ad oggi, il video sfiora i due milioni di visualizzazioni, ha generato pagine Facebook meme, hashtag personalizzati (#iostoconfabio), articoli di giornali on line diventando persino «un caso» di marketing da cui prendere spinta, come hanno fatto Ceres e Unieuro sulle proprie pagine Fb.

 

 

 

Cosa fanno i grandi marchi
Cosa fanno i grandi marchi

Ma perché, a pensarci bene, questo video non fa ridere? Lo abbiamo chiesto a Fabrizio Martire, ceo and co-fondatore di Gummy Industries e Talent Garden, esperto di comunicazione e marketing digitale. 

«È sconcertante come chiunque abbia visto questo video si sia messo a ridere, ma, un conto è farlo tra amici, persone da cui si accettano anche battute o osservazioni pungenti, un conto è se la stessa scena viene decontestualizzata e riproposta milioni di volte, come del caso del video in questione».

Il video, infatti, risale a questa estate. Circolato e condiviso solo su Whatsapp è rimasto a covare la sua potenziale carica virale fino a quando, domenica, un veterinario di Lucca sul proprio profilo Fb ha deciso di sdoganarlo. L'inizio della fine... della privacy. 

«Si tratta di una violazione della privacy molto forte. Tanto che altri utenti privati sono andati a cercare i profili di coloro che compaiono nel video. Per i media non c'è scelta: la notizia va ripresa, ma c'è chi lo fa in modo più opportuno offrendo quegli strumenti di lettura che molti in Rete non hanno, primo fra tutti la consapevolezza. Che danni fa condividere questo video? Sono domande che ogni utente Fb dovrebbe farsi».

A questo punto però ci si chiede come ci si possa difendere e come si possa difendere tutto quel materiale privato che ciascuno conserva sul proprio cellulare. «Difendersi è davvero difficile in quest'era digitale. Non si può attaccare chi ha postato per la prima volta su Fb il video, anche se è da lì che si è innescata la dinamica virale. Non ha pensato al danno che avrebbe arrecato e di questo non gliene si può fare una colpa. Ecco, ancora un volta, perché è necessario aumentare la consapevolezza».

Non sono così sbiaditi nella nostra memoria i tristi precedenti di contenuti personali finiti sulla ribalta social. Contenuti che hanno sollevato una immensa ondata di odio, che, come nel caso di Tiziana Cantone, hanno portato al gesto estremo. Senza considerare tutti gli effetti del cyberbullismo. Ecco perché, a ben guardare, tutto ciò non fa ridere. 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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