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Il sogno di Pinky: «Un muro contro il femminicidio»

La donna indiana alla quale venne dato fuoco vuole portare a Brescia «The wall of the dolls»
Pinky con l’avvocato Luca Broli fuori dal tribunale - © www.giornaledibrescia.it
Pinky con l’avvocato Luca Broli fuori dal tribunale - © www.giornaledibrescia.it
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Dal matrimonio combinato al divorzio voluto e ottenuto. Tutto adesso è davvero definitivamente alle spalle. «Tranne le cicatrici, quelle me le porterò dietro fino all’ultimo giorno di vita». Dopo la notte dell’orrore del 20 novembre 2015, dopo la denuncia, la ritrattazione e l’accusa definitiva, dopo le settimane in ospedale nel reparto grandi ustionati, dopo tre processi e altrettante condanne per l’imputato, Parvinder Aoulakh soprannominata Pinky ha scritto l’ultimo capitolo della storia con il marito violento che le aveva dato fuoco perché la riteneva troppo occidentale.

La giovane donna nata in India e cresciuta a Brescia, madre di due bambini, ha firmato il divorzio, come raramente si vede tra le donne costrette a subire in silenzio le aggressioni di un uomo scelto per loro dalla famiglia di origine. «Il mio è stato un matrimonio combinato, ma poi ho amato da impazzire mio marito fino a quando è diventato violento. E la notte in cui mi ha dato fuoco è stato il culmine» racconta chiudendo davanti al tribunale civile i rapporti con Ajab Singh, in carcere dove sta scontando la pena a 14 anni e al termine della quale dovrà lasciare per sempre l’Italia.

«Rivederlo non è stato facile. È tornato tutto in mente. Oltre a quel maledetto episodio anche la nostra relazione, dalla quale sono nati due figli. Fa male che sia finito in questo modo. Non mi nascondo: sono stata male alla firma del divorzio. Non sono mai passaggi facili della vita».

Da tempo Pinky ha voltato pagina, dedicandosi ai suoi due figli spettatori della notte folle di quattro anni fa, al lavoro e alla battaglia a fianco delle donne vittime di violenza. Ora ha in mente un progetto ambiziosi. «Voglio far nascere anche a Brescia "The wall of the dolls". Il muro delle bambole». Quello che vuole essere un simbolo e allo stesso tempo un ammonimento. «Un muro dove poter attaccare una bambola o un’opera d’arte per tutte le donne vittime di femminicidio». Pinky ne ha già parlato con l’Amministrazione comunale bresciana e aspetta una risposta.

«Lo stesso progetto è nato a Genova, Milano e a Venezia. Sarebbe un modo per unire tutte le associazioni che difendono i diritti delle donne». Il sogno della ragazza che ha rischiato di morire per mano del marito è quello di vedere nascere il «muro del femminicidio» in una strada principale della città. «Un luogo ben visibile, dove la gente possa passare e fermarsi per riflettere. e vero - spiega Pinky - sono state installate le panchine rosse in molti paesi della provincia, ma non basta. Davanti ad un muro pieno di bamboline e di nomi chiunque troverà un minuto per riflettere».

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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