Farmaci letali, mercoledì al via il processo per il dottor Mosca
È ai domiciliari da fine gennaio scorso, da quando il gip Angela Corvi ha accolto la richiesta di arresto della Procura. Per il medico Carlo Mosca, 48enne nato a Cremona, primario facente funzione al Pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari fino a prima della sospensione, l’accusa è pesantissima: omicidio volontario. «Per aver cagionato la morte di due pazienti ricoverati a marzo 2020 in gravi condizioni per Covid, somministrando farmaci incompatibili con la vita in assenza di intubazione» si legge dagli atti.
Contestate anche due aggravanti: quella di aver commesso il fatto «col mezzo di sostanze benefiche» e quella di «aver approfittato di persone in circostanze tali da ostacolare la privata difesa, con abuso di prestazione d’opera e in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie».
Mosca si è sempre proclamato innocente, ma prima il gip, poi il Riesame e infine la Cassazione non lo hanno mai rimesso in libertà. E da mercoledì inizierà a difendersi in aula.
Il processo a Brescia
Il primo dicembre prenderà infatti il via davanti alla prima sezione penale presieduta dal giudice Roberto Spanò il processo. Che potrebbe durare almeno dieci udienze.
Mosca e i suoi legali hanno scelto di non passare dall’udienza preliminare, ma, per accelerare i tempi, di arrivare direttamente a dibattimento. Deve anche rispondere di falso in atto pubblico «per aver omesso di indicare in cartella clinica di Natale Bassi e di Angelo Paletti la somministrazione di succinilcolina e Propofol».
I due farmaci: la succinilcolina e il Propofol
Al centro del processo ci sono proprio questo due farmaci: la succinilcolina (Midarine è il nome commerciale), «ha l’effetto di paralizzare i muscoli respiratori e gli altri muscoli scheletrici senza effetti sullo stato di coscienza, la cui dispensazione provoca la morte del paziente per soffocamento in assenza di intubazione». Il consulente tecnico del pm Federica Ceschi titolare dell’inchiesta spiega che: «L’effetto si verifica entro 30-60 secondi dalla somministrazione e dura in media dai cinque ai dieci minuti ed entro questo termine va completata la manovra dell’intubazione tracheale». E ancora: «Se viene usata su un paziente che non verrà intubato vi sarà perdita della capacità respiratoria, apnea, conseguente scompenso cardiaco, bradicardia, poi come reazione tachicardia e poi arresto cardiaco».
Il Propofol è invece «un anestetico endovenoso che induce rapidamente sedazione, ipnosi e perdita di coscienza, il cui principale effetto collaterale è una severa depressione respiratoria e che viene in medicina impiegato esclusivamente in ausilio ad attività chirurgiche e in preparazione dell’intubazione del paziente». I consulenti della Procura scrivono: «Induce ipnosi rapidamente con massima intensità dopo circa 100 secondi e dura circa 10 minuti, che corrisponde al tempo utile per l’intervento chirurgico. Può comportare prolungata apnea, severa ipossia e ipotensione che conducono al decesso in assenza di intervento medico».
Le due presunte vittime del dottor Mosca
Secondo le indagini le due presunte vittime del dottor Mosca non sono mai state intubate. Natale Bassi il 20 marzo 2020 e Angelo Paletti la sera del 22 marzo a 79 anni. La salma di Angelo Paletti è stata riesumata nel corso dell’inchiesta e in sede di accertamenti è emersa la presenza di Propofol nonostante in cartella clinica non fosse stato segnato l’utilizzo. Non sono invece state trovate tracce dei farmaci al centro del caso nel corpo di Natale Bassi.
Come è nata l’indagine
È un infermiere a far scattare le indagini quando la mattina successiva alla morte di Paletti «rinviene sul fondo del contenitore dei rifiuti taglienti posto nella sala emergenze, due fiale vuote di Midarine e che per quanto a sua conoscenza la notte tra il 22 e il 23 marzo non erano state effettuate intubazioni».
Gli accertamenti presso la farmacia interna all’ospedale di Montichiari secondo le indagini avrebbero portato alla scoperta di «un utilizzo anomalo dei farmaci Propofol e Midarine, a fronte di sole cinque operazioni di intubazione effettuate presso il pronto soccorso nel semestre novembre 2019 aprile - 2020 (tre delle quali nel mese di marzo 2020 in pieno Covid) gli ordinativi dei due preparati, presso le corrispondenti unità operative, erano nell’anno aumentati rispettivamente del 100% e del 70%, rispetto a quelli dell’anno precedente».
Per il gip «gran parte del personale era a conoscenza dell’utilizzo improprio e disinvolto, ossia al di fuori delle operazioni di preparazione a supporto dell’intubazione, che dei farmaci Midarine e Propofol, aveva fatto il primario Mosca nel periodo dell’emergenza».
L’ipotesi sul movente
Ma perché il dottor Carlo Mosca avrebbe ucciso i due pazienti? Per il gip che firmato il suo arresto: «Deve ritenersi che abbia somministrato le sostanze già più volte menzionate, non per un’intollerabile leggerezza, imprudenza o perfetto di una inescusabile imperizia, bensì nella piena consapevolezza dei presupposti della sua condotta e con volontà di uccidere. È verosimile che l’indagato si sia determinato ad uccidere poiché mosso dalla volontà di liberare non solo e non tanto posti letti, bensì risorse strumentali e di energie umane, fisiche di emotive, dei colleghi medici, gli infermieri e di tutti gli altri operatori del pronto soccorso In un momento in cui il pronto soccorso di Montichiari era, analogamente la gran parte delle strutture sanitarie della provincia bresciane della Lombardia, letteralmente sotto assedio della pandemia da Covid-19 - conclude il gip - va a sgomberato il campo da eventuali fraintendimenti: nel caso di specie, sulla base degli elementi già vagliati, non viene in alcun modo in considerazione quel peculiare e drammatico dilemma tra obblighi salvifici di cura nei confronti di diversi pazienti, che si è come noto presentato la comunità medica nei giorni più bui dell’emergenza Covid».
In sintesi: «Ciò che è contestato all’indagato è un comportamento radicalmente diverso: consiste non nell’aver lasciato morire pazienti, non dispensando loro le migliori e più adeguate cure, non disponibili materialmente, nei termini indicati, bensì nell’averli soppressi, con una condotta di tipo attivo».
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