Bassa

Dal 1945 riemerge la foto di quel Mosquito americano colpito a Ghedi e precipitato a Quinzano

L'aereo con a bordo pilota e osservatore americani cadde vicino all'Oglio. Alcuni ragazzi immortalarono i resti: la foto ora ad AirCrashPo
I resti del bimotore Mosquito dell'Usaaf precipitato a Quinzano il 30 marzo 1945 - Foto Carlo Feraboli/AirCrashPo
I resti del bimotore Mosquito dell'Usaaf precipitato a Quinzano il 30 marzo 1945 - Foto Carlo Feraboli/AirCrashPo
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Meno di un mese. Altri 25 giorni soltanto e la Seconda guerra mondiale sul fronte italiano sarebbe stata consegnata alla storia. Le armi avrebbero cessato di crepitare. Non lo seppero mai i due aviatori americani che persero la vita precipitando con il loro aereo, un De Havilland Mosquito Mk XXX di fabbricazione inglese, sulle rive dell’Oglio, là dove il fiume segna il confine tra i comuni di Quinzano e Bordolano, e con essi tra le province di Brescia e Cremona.

L'abbattimento

Era la notte del 30 marzo 1945. Da Pontedera, in provincia di Pisa, decollò poco dopo le 2 il bimotore del 416th Night Fighter Squadron dell’aviazione statunistense, diretto all’aeroporto di Ghedi, obiettivo della missione di pattugliamento. Ma ad accogliere il pilota, tenente Eldon Wilbur «Tim» Blake, 26enne dell’Iowa, e l’osservatore radar, tenente Max William Galowich, 30enne del Bronx, c’era la temuta flak tedesca, la contraerea che presidiava l’aeroporto utilizzato anche dalla Luftwaffe sotto la Rsi. Centrato dall’artiglieria, il Mosquito tentò di riparare verso Sud, verso le linee alleate. Ma non andò oltre l’asta dell’Oglio: precipitò senza lasciare scampo ai due piloti non è ben chiaro se sulla sponda bresciana in terra di Quinzano o appena oltre le acque del fiume, a Bordolano.

Quei resti

L’ipotesi più battuta è che l’aereo sia caduto in corrispondenza dello spiaggione Cavalli o della zona detta Brasile, e dunque nel Bresciano, tanto più che le spoglie dei due aviatori furono interrate nel cimitero di Quinzano, salvo poi in anni successivi essere traslati l’uno al cimitero militare americano di Firenze, l’altro all’Old Saint Raymond's Cemetery di New York.

Una storia che sarebbe rimasta confinata negli annali, non fosse per gli archeologi dell’aria di AirCrashPo, sodalizio di cultori dell’aviazione che da anni vanno ricucendo frammenti della storia del Secondo conflitto mondiale, riannodando fili fatti di racconti, documenti e ipotesi fino a ritrovare gli stessi resti di aerei ed equipaggi. Un lungo lavoro risalente a svariati anni fa si era arenato nelle troppe incertezze, davanti alla tramandata vox dell’essere il Mosquito finito su un argine, là dove le acque dell’Oglio ne avrebbero di certo spazzato via i resti.

Una foto dal passato

E invece, da un appello, ecco riemergere una vecchia (ma dettagliatissima) fotografia. Quasi un passaggio di testimone, da altri cercatori di relitti, contemporanei ai fatti e allora ragazzini. Carlo Feraboli e i fratelli maggiori Palmiro e Celeste, assieme all'amico Rizzi formavano il gruppetto di «cacciatori di aerei» degli Anni ’40, sfollati a Corte de’ Frati, nel Cremonese. Quando avevano notizia di un abbattimento inforcavano le bici e andavano a scattare foto. Oggi straordinari documenti: come quella qui proposta, in cui i resti dell’aereo all’occhio attento degli altri esperti di AirCrashPo (in particolare, in questo caso, dei fratelli Luca e Stefano Merli), distinguono senza dubbi scarichi di uno dei motori Merlin del Mosquito e altri dettagli che giungono come conferma dell’identità del velivolo, attestata anche da documentazione reperita negli archivi statunitensi desecretati.

Nuove ricerche

Ora resta l’ultimo atto: quale fosse la sponda dell’Oglio su cui giacevano quei resti non lo ricorda neppure l’ormai novantenne Carlo Feraboli. Toccherà agli archeologi dell'aria di AirCrashPo adoperarsi con acume, pazienza e metal detector per verificare se in quel lembo di Bassa si nascondano da quasi 80 anni metallici frammenti di una storia ancora capace di parlarci. E di ammonirci, mai come in questi tempi, sul valore inestimabile della pace.

Castel Mella e Bagnolo Mella, altri appelli

D'altro canto, quella di Quinzano è solo una delle molte storie ripercorse da decenni dal sodalizio di ricerca, che trova materia fondamentale per la propria attività nei racconti tramandati da chi fu testimone di quei terribili eventi del secondo conflitto mondiale. A Carlo Feraboli per il prezioso contributo che ha dato alla ricerca, è andato in dono il basco arancione che è riservato ai soci del gruppo. Quasi un ideale passaggio di testimone tra cercatori di aerei di allora e di oggi.

Il documento di cattura del tenente Mangino recuperato dagli archivi tedeschi - Foto AirCrashPo © www.giornaledibrescia.it
Il documento di cattura del tenente Mangino recuperato dagli archivi tedeschi - Foto AirCrashPo © www.giornaledibrescia.it

Ma l'importanza delle testimonianze custodite dagli anziani o da figli e nipoti di chi ottant'anni fa assistette ad abbattimenti e soccorsi, è rimarcata anche dai nuovi appelli che proprio AirCrashPo rivolge a quanti avessero notizie di altri due «crash», la cui localizzazione esatta potrebbe dipendere proprio dai ricordi di allora. Si tratta degli abbattimenti relativi ai P-47 di due piloti americani avvenuti entrambi il 21 dicembre 1944: in un caso il Thunderbolt del tenente Micheal Louis Mangino cadde attorno alle 9.15 a Castel Mella, nel secondo il caccia del tenente Thomas H. Thompson precipitò a Bagnolo Mella un'ora e mezza più tardi.

Dagli archivi della Luftwaffe la documentazione che prova la cattura a Bagnolo Mella del tenente Thompson - Foto AirCrashPo © www.giornaledibrescia.it
Dagli archivi della Luftwaffe la documentazione che prova la cattura a Bagnolo Mella del tenente Thompson - Foto AirCrashPo © www.giornaledibrescia.it

I rapporti  tedeschi ne confermano data, ora e luogo di cattura. Ma di più non si sa. «Qualsiasi informazione sui due crash - come pure su quello di Quinzano/Bordolano - è gradita» assicurano da AirCrashPo. Chi ne avesse può scrivere a merli.lucagabriele@gmail.com o contattare lo 3425795804.

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