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Covid, dimesso dopo 7 mesi di ospedale: «Ora sono disabile»

Giovanni Martinelli, 61enne di Orzinuovi, ha riabbracciato i cari dopo un lungo calvario per il coronavirus
Il ritorno a casa di Giovanni Martinelli - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il ritorno a casa di Giovanni Martinelli - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Gli occhiali inforcati sul naso, 20 kg in meno da portarsi addosso e due stampelle al posto di un arto che il Covid gli ha strappato via crudelmente. Con le cicatrici della malattia sul corpo, ma sul viso il sorriso e le lacrime di chi ce l'ha fatta e urla alla vita, venerdì Giovanni Martinelli, 61enne di Orzinuovi, è ritornato a casa dopo 7 mesi di ospedale, pronto a buttare il cuore oltre l'ostacolo. Sul balcone uno striscione «Bentornato papà».

Qualcuno per strada, altri nel giardino del condominio ad aspettarlo e applaudirlo. E poi una grande festa per tutto il giorno, bagnata da lacrime di gioia e commozione. Venerdì Giovanni Martinelli ha potuto riabbracciare tra i muri di casa la sua moglie Mariella, i suoi figli Matteo e Anna, i suoi amici e i parenti a 202 giorni da un incubo iniziato il 20 marzo scorso.

Portato via da un’autombulanza a sirene spiegate con la febbre alta e difficoltà respiratorie, ha combattuto una guerra lunga e dura contro il coronavirus, imprigionato in un letto di ospedale da cui più volte aveva perso la speranza di rialzarsi. Giovanni Martinelli, uomo dalla fibra forte e dalla grinta di un leone, in pensione dal 28 febbraio dopo essere stato per una vita operaio alla ferramenta di Vanoli Soncino, è una delle testimonianze crudeli e vive di come il virus abbia imperversato a Orzinuovi durante il periodo clou dell’emergenza. Ma è anche il segno della speranza, della vita che ha vinto sulla morte.

«È stato un calvario che non auguro a nessuno - queste le prime parole che ci ha riferito. Però posso dire di essere stato fortunato. Ad alcuni è andata peggio. Io alla fine ce l'ho fatta e sono contentissimo». Tutto è iniziato con il ricovero in rianimazione a Chiari, intubato per tre settimane. La cura col plasma sembrava poi averlo risollevato. «Ma improvvisamente è subentrato un ictus, complicazioni al cuore e ai reni e poi l'embolia al piede destro. A quel punto non c'è stata altra scelta che amputarmi la gamba dal ginocchio in giù. Infine un altro batterio mi ha preso i polmoni e sono stato agli ospedali Civili per tre settimane. E infine la riabilitazione al Maugeri a Lumezzane fino a ieri. Ringrazio tutto il personale sanitario per le preziose cure che mi ha dedicato».

«Il coronavirus mi ha cambiato l'esistenza - continua a raccontarci. Ero sano come un pesce. Ora sono un disabile e devo fare i conti con la mia invalidità. Ho imparato che la vita è preziosa e bisogna godersela ogni attimo».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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