C'era una volta il mulino, l'antico «eroe» della natura
Terra d’acqua è la pianura che dalle Prealpi scorre piatta e monotona sino a lambire l’agro cremonese, e dove c’è acqua ci sono mulini. Opifici antichi come il «cuco», rifatti e rimaneggiati infinite volte per adattarli ai tempi. Stanno appollaiati sui cigli di rogge, fiumi e scoli naturali da secoli ormai. Di questi eroici manufatti qualcosa ancora rimane. In verità poco: qualche gora pietrigna, alcuni muri diroccati, qualche macina rotta e consunta adagiata qua e là su sponde o muriccioli invasi dall’erba vetriola. Un tempo erano centinaia. Ogni paese bresciano e lombardo ne conservava uno o due, persino di più.
Più importante del castello
All’origine costruito in legno, il mulino era il primo edificio che si edificava in ogni nuovo insediamento umano. Era più importante del castello e della chiesa stessa, perché senza mulino non c’è farina, senza farina non c’è pane, senza pane c’è la fame. Nella Bassa bresciana il paese di Borgo San Giacomo ne aveva quattro; Gottolengo tre, più una «masnadora» per fare olio di linosa. Quinzano d’Oglio cinque, tutti costruiti sulla roggia Savarona; Bagnolo Mella quattro; Farfengo due; Pontevico sei… E il mulino di Remedello, abbandonato e quasi cadente, per il quale nessuno fa niente. Prima c’era il mulino, il resto veniva di conseguenza.
Alla metà del Novecento, dopo secoli di onorato lavoro, i mulini entrarono in profonda irreversibile crisi. I tempi nuovi e la rivoluzione tecnologica decretarono la scomparsa di nove mulini su dieci. Rimasero in vita solo quelli che seppero adattarsi al nuovo, quelli che cambiarono forma e pelle. Tutti gli altri vennero trascurati e poi abbandonati. Sicché, dopo duemila anni di indefesso lavoro, intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso, perso ruolo e funzione, scomparvero dall’orizzonte.
Il valore dei superstiti
Oggi, però, i mulini storici che sono sopravvissuti hanno acquisito un’abilità nuova e potente: parlano. Quando l’acqua nelle gore abbonda urlano, quando scarseggia sussurrano appena, ma parlano. Non possono stare zitti con tutti i secoli che hanno attraversato, le voci che hanno ascoltato. Sì, parlano, suggerendo ai vivi la memoria perduta!
All’origine fu dall’acqua che prese forma l’attività molitoria. I mulini natanti, costruiti sull’Oglio e sul Po, quelli di cui ci parlò Riccardo Bacchelli, sono completamente scomparsi. Perciò ci tocca cercare quelli di terra ferma. Ma anche questi sono ormai inattivi da decenni e la loro totale scomparsa è vicina. Così, perderemo per sempre quell’umile forma che li caratterizzava.
Le loro architetture rappresentavano il leit-motiv del mondo campagna, al pari delle cascine, delle torri e chiese, dei palazzi, dei capitelli votivi… Furono, i mulini, un iconema del paesaggio contadino e uno dei volti poetici che abbiamo perduto. Quel che di loro rimane è diventato «bene culturale» da preservare e conoscere. Se si parla di economia lombarda non si può e non si deve scordare la «Civiltà dei mulini» perché patrimonio storico e paesaggistico che vuol dire conoscenza, esperienza, saggezza e mistero.
Fabbriche contro la fame
È questo il cammino fatto da questi opifici: vere «fabbriche» contro la fame, sicuri amici della fatica umana. Cos’è nell’immaginario popolare un mulino? La piazza universale di tutte le professioni essendo, questi opifici, la prima vera macchina inventata dall’uomo. Un marchingegno prezioso ma pericoloso perché, come scrive Tomaso Garzoni nel 1589: «Il diavolo s’è cacciato dentro…». Sì, dentro la «macchina infernale» che, proprio perché in grado di evitare fatica all’uomo, ha insidiato nel suo sentire l’idea di agio, di progresso e di accumulo. Certo, i mulini esistono ancora. Quelli scomparsi sono quelli storici, preindustriali, mossi dall’energia idraulica che faceva girare una, due, persino tre ruote esterne ad ogni opificio «con acqua da sotto…».
Poi l’energia elettrica cambiò il mondo, anche quello dei mulini. Lo spostamento dal settore primario al secondario determinò l’abbandono delle cascine così come dei mulini sicché, questi storici opifici, non essendo più competitivi sul mercato, spariranno dalla campagna bresciana. Come dalla faccia della terra.
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