Addio a Soffiantini, il suo rapimento durò 237 giorni
Era una calda serata del 17 giugno di 21 anni fa, quando un commando fece irruzione nella casa di Manerbio dell'imprenditore tessile Giuseppe Soffiantini, padre di tre figli, morto la notte scorsa.
Da quel 17 giugno del 1997 la sua famiglia rimase in angoscia per 237 giorni, durante i quali per i famigliari si alternarono speranze, trattative e lo choc di ricevere per due volte lembi delle orecchie dell'ostaggio. Per gli investigatori ci fu la disperazione per la morte dell' ispettore dei Nocs Samuele Donatoni, ucciso durante un blitz, il 17 ottobre di quell'anno, per catturare i sequestratori a Riofreddo, tra il Lazio e l'Abruzzo.
Gli agenti della Squadra mobile di Brescia, allora diretti da Marco Mariconda, puntarono sin da subito sulla pista sarda: i rapitori comunicavano con la famiglia via lettera, mentre tradizionalmente la 'ndrangheta usava dei telefonisti. Fu ricostruito l'organigramma del gruppo: a prelevare Soffiantini furono due rapinatori di lungo corso, Giorgio Sergio e Osvaldo Broccoli, con la complicità di un basista del posto, Pietro Raimondi. Il capo fu identificato con Mario Moro che rimase ucciso in un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine nella galleria di Tagliacozzo, in provincia dell'Aquila, tre giorni dopo il fallito blitz di Riofreddo.
I carcerieri di Soffiantini furono Giovanni Farina, il bandito poeta, e Attilio Cubeddu, il bandito con la tosse, che lo tennero nascosto nelle campagne tra Grosseto e Siena nonostante le frequenti battute delle forze dell'ordine.
Nel febbraio del 1998 la svolta: un provvedimento dell'allora gip di Brescia Roberto Spanò autorizzò il pagamento del riscatto con la motivazione che, nonostante la legge sul blocco dei beni, questo era lecito se il fine era la cattura dei sequestratori. Furono pagati cinque miliardi di lire e il 9 febbraio Soffiantini fu liberato in località Impruneta, in provincia di Firenze, e poté tornare a casa.
Tutti i componenti del gruppo, salvo Cubeddu, la cui figura è ancora avvolta nel mistero, furono catturati; così come furono arrestati anche alcuni riciclatori del denaro del riscatto.
Il sequestro Soffiantini, però, era destinato a riservare altre, incredibili, sorprese. Si scoprì che il generale Francesco Delfino, che aveva conosciuto la famiglia Soffiantini negli anni '70, quando comandava la Tenenza di Verolanuova, si era intromesso nella trattativa facendosi consegnare un acconto di 800 milioni per favorire il rilascio dell'imprenditore, con la mediazione di inesistenti banditi calabresi (l'alto ufficiale aveva prestato a lungo servizio in Calabria ed era profondo conoscitore della criminalità organizzata locale). Delfino fu arrestato nell'aprile del 1998 e condannato per truffa aggravata a tre anni e quattro mesi. Morì nel 2014.
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