Sembra plastica, ma è naturale: Valledoro lancia i pacchetti bio
Mille e ottocento tonnellate di farina all’anno per preparare i grissini, centocinquanta tonnellate di plastica per confezionarli. In porzioni monouso, ad esempio, conservate all’interno di pacchetti più grandi perché, d’altro canto, chi li vuole mangiare stantii? Nessuno.
Nei due numeri iniziali è sintetizzato il rapporto della Valledoro con il packaging, un tema attuale per almeno due motivi: uno è concreto e si chiama plastic tax, in vigore dal primo luglio 2020, l’altro è più d’opinione e ha a che fare con la crescente attenzione (ma non è mai abbastanza) sulla sostenibilità ambientale. Prima che si prospettasse un aumento dei costi per l’utilizzo della plastica (l’imposta è di 45 centesimi di euro al kg), l’azienda di via Galvaligi si era già mossa per superare la dipendenza da politene e polipropilene, partendo dall’assunto che, una volta sfornati, i grissini bisogna pur confezionarli, anche nel più green dei mondi possibili.
«Due anni fa avevo iniziato a cercare un materiale eco-compatibile per le confezioni, come scelta per l’ambiente, ma i test erano tutti negativi - spiega Giulio Zubani, ad dell’azienda -. Gli incarti, ad esempio, lasciavano passare l’aria e i prodotti non resistevano, diventavano stantii». Zubani non si è arreso e a metà 2019 è riuscito nel suo intento: un’azienda giapponese ha iniziato a fornirgli una plastica non plastica, completamente biodegradabile, fatta di cellulosa. Addio derivati del petrolio, dunque, almeno per alcune linee di prodotti.
«Prima di tutto abbiamo verificato la tenuta, che si è rivelata molto soddisfacente - prosegue -. Poi abbiamo preso uno dei pacchetti e l’abbiamo sotterrato in giardino: tre mesi dopo era davvero sparito. Da allora abbiamo iniziato a usare il packaging biodegradabile per alcune tipologie di grissini proposte per ora a un numero contenuto di operatori della grande distribuzione, ci rendiamo conto che è un tipo di prodotto che va introdotto gradualmente sul mercato».
Prima di tutto perché il packaging bio costa di più, quattro volte la plastica normale, e poi perché servono alcuni accorgimenti estetici. Gli inchiostri usati per scrivere devono essere a loro volta ecologici e non possono superare una determinata percentuale della superficie, per non vanificare la biodegradabilità. Per Zubani servirebbero incentivi all’utilizzo di simili materiali, anche se non risolvono tutti i problemi, anzi, ne aprono degli altri. «Pacchetti simili non puoi metterli nella raccolta della plastica, ma se per sbaglio ci finiscono come possono essere riconosciuti? E le aziende di raccolta dei rifiuti come fanno a sapere che questi sacchetti possono andare nell’organico?», si chiede.
In Italia ci sono esperienze simili, con aziende che hanno sostituito la plastica con materiali bio, come le bottiglie di acqua Sant'Anna realizzate con materiale che proviene dalla fermentazione degli zuccheri delle piante dal mais, ma nel settore del packaging per alimenti la Valledoro si sta muovendo in maniera pionieristica, con tutte le incognite del caso. «La paura è che sia una moda, come quella dell’olio di palma - conclude Zubani -. Però sono convinto di ciò che diceva Ahmed Zaki Yamani, il politico saudita: "L’età della pietra non è finita perché erano finite le pietre". Lo stesso vale per petrolio e plastica, ma serve un’alternativa ecologica e sostenibile economicamente».
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