Il 90% della neve sulle piste italiane è artificiale
Quando si parla di montagna, ambiente e sostenibilità, «il dibattito sull’innevamento artificiale è il tema più scottante e, forse, il più divisivo». Così sostiene Legambiente che ha analizzato il tema nei sui ultimi report «Nevediversa», quello di quest’anno (presentato ieri) ha come sottotitolo «Il turismo della neve nelle montagne senza neve», quello del 2023 (che può essere utilmente letto in abbinata) è «Il turismo invernale nell’era della crisi climatica».
Moltissimi gli spunti di riflessione – che aprono il confronto anche con chi, ovviamente, la pensa diversamente – conditi da dati molto interessanti. «È aperto il dibattito – scrive Legambiente – su quale sia l’impatto ambientale ed economico della sostituzione della neve naturale con la neve artificiale». C’è il tema del costo delle risorse, «dover creare la neve, illuminare le piste di notte, far funzionare gli impianti di risalita per orari più lunghi con riadattamenti di alcune piste per aperture straordinarie, aumenta le spese, limitando la redditività». C’è poi la questione fondamentale: «Un clima sempre più caldo significa una ridotta efficienza dell’innevamento, quindi maggiori consumi e più generatori. È evidente che più cannoni sparaneve richiedono più tubi dell’acqua, compressori e altri dispositivi per farli funzionare». Quindi la conclusione, impietosa, di Legambiente: «Quella della neve artificiale è una macchina elefantiaca che invece di risolvere un problema lo ingigantisce, e non ha granché senso che i comprensori sciistici cerchino di rendersi indipendenti dalla natura. Anche gli utilizzatori dello sci dovrebbero capacitarsene».
I problemi
Il cambiamento climatico è l’architrave su cui poggiano le altre questioni. Spiega il professor Giovanni Carrosio, sociologo ambientale all’Università di Trieste: «Percepiamo i problemi ambientali se e quando si manifestano direttamente nei nostri spazi di vita quotidiana, ma fatichiamo ad avere percezione della crisi climatica, che è una crisi sistemica e globale. Certo, ha delle ricadute anche nei nostri luoghi di vita, ma sono spesso temporanee e non abbastanza frequenti per percepirle come ordinarie e non eccezionali».
Dicevamo dei dati, eccone uno che colpisce particolarmente: l’Italia è il Paese alpino dove è più diffusa la neve artificiale, la percentuale di piste innevate artificialmente è del 90%. Per fare un confronto: l’Austria è al 70%, la Svizzera al 50%, la Francia al 39%. Ancora un dato: produrre un metro cubo di neve può costare tra i 3 e i 7 euro.
I fondi pubblici
Altro focus del report «Nevediversa»: sui monti italiani non nevica più, ma sugli impianti sciistici continuano a piovere soldi pubblici. E al turismo «ecologico» rimangono le briciole. Nel 2024 sono 177 gli impianti sciistici temporaneamente chiusi per mancanza di neve, 39 in più rispetto al 2023. Le strutture aperte a singhiozzo sono 93, 9 in più rispetto al 2023. Quelle chiuse definitivamente sono salite a 260, dalle 249 dell’anno precedente. Ma nonostante le chiusure, scrive Legambiente, «i finanziamenti d’oro non accennano a diminuire. Sono 148 i milioni di euro destinati nel 2023 dal ministero del Turismo per l’ammodernamento degli impianti di risalita e di innevamento artificiale, a fronte dei soli 4 milioni destinati alla promozione dell’ecoturismo».
«I comprensori sciistici italiani costituiscono un grande bacino di ricchezza per la nostra nazione: generano migliaia di posti di lavoro e importanti volumi d’affari, contribuendo in modo sostanziale al valore economico della montagna bianca italiana, pari a 22 miliardi di euro. Senza la neve programmata (che, oltre a sostituire, va anche a integrare la neve naturale) questi numeri non sarebbero pensabili né, men che meno, raggiungibili». Questo il commento della ministra del Turismo Daniela Santanché.
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