Di questo passo il ghiacciaio dell’Adamello tra 80 anni non ci sarà più
Il ghiacciaio della Marmolada, la montagna che ha anticipato in Italia il modello di sviluppo orientato al turismo dello sci con la costruzione, nel 1947, di uno dei primi impianti di risalita, ha il destino segnato. Entro una quindicina d’anni, stando ai calcoli matematico scientifici dell’Università di Padova, non esisterà più.
Un destino che accomuna tutti i ghiacciai d’Europa alle prese con un processo di fusione che, negli ultimi anni, sta paurosamente accelerando mettendo a rischio interi ecosistemi, nonché l’economia di vaste comunità che sul turismo invernale hanno fondato il proprio benessere. Stessa sorte, anche se più in là spostata nel tempo, riguarda il ghiacciaio dell’Adamello la cui vita residua è stimata dall’Università di Brescia in circa 80 anni.
«Entro la fine del secolo - spiega Giovanna Grossi, professoressa di Costruzioni idrauliche e idrologia dell’Università degli Studi di Brescia, al seguito della spedizione di Climbing for climate - l’Adamello è destinato a scomparire. Dal 2007, ogni decade, ha perso l’11% di superficie. Il dato preoccupante è il potere di fusione della temperatura estiva, cresciuto ogni decade di 0,8 gradi centigradi».
Durante l’estate, le temperature in quota aumentano ogni anno, tant’è che, per contrastare la fusione e continuare a garantire l’utilizzo degli impianti in alta quota agli sciatori, si è arrivati a coprire i ghiacciai con i teli geotermici, pratica utilizzata anche sul Presena, risultati però inquinanti.
«Microfibre di polipoprilene, materiale di cui sono composti i teli - ha detto Mauro Varotto, geografo del Comitato glaciologico italiano - sono state rinvenute da un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova in campioni di acqua di fusione del ghiacciaio della Marmolada. I teli sono risultati, cioè, una fonte di inquinamento da microplastiche secondarie».
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