Come siamo arrivati ad avere un problema coi cinghiali
Regione Lombardia, Lega abolizione della caccia, cacciatori e agricoltori. E i cinghiali. La loro presenza sui monti bresciani è spesso considerata un problema, non solo per le incurisioni e le devastazioni delle zone agricole, ma anche per le scorribande nei centri abitati.
Su un punto sono d’accordo: il «censimento» dei cinghiali non dà numeri affidabili sulla popolazione effettiva degli animali nella nostra provincia. Pur su fronti diametralmente opposti, cacciatori e Lega anticaccia concordano nel dire che la stima di 1557 esemplari nei boschi bresciani del 2019 sia al ribasso.
I cacciatori ritengono che siano di più, e che quindi il periodo di caccia debba essere esteso e che debba essere aumentato il numero di animali che per legge possono essere «prelevati». La Lac sostiene che «il censimento non esiste, non si basa su metodi scientifici e quindi affidabili».
Partiamo allora dai numeri: secondo i dati forniti da Regione Lombardia, che per raccoglierli si affida anche al lavoro dei cacciatori, nella nostra provincia si stima che vivessero nel 2019 1557 cinghiali. Un numero ipotetico, dal momento che i censimenti avvengono con la tecnica indiretta di conteggio dei segni di presenza, come gli insogli (luoghi fangosi tanto cari a questi ungulati), le tracce, gli sfregamenti sui tronchi. Nel 1988 i capi censiti furono 55.
La storia ci dice che su Alpi e Prealpi, attorno al diciottesimo secolo, i cinghiali erano praticamente estinti. Poi, negli anni Dieci del Novecento, hanno fatto la loro ricomparsa. Come? A reintrodurli è stato l'uomo. «Illegalmente - dice Katia Impellittiere della Lac -, con allevamenti fuori controllo e specie dell’Est Europa introdotte nelle nostre zone che hanno tassi riproduttivi particolarmente elevati». Loro, i cinghiali, hanno fatto il resto, impossessandosi dei boschi lasciati soli e approfittando dello spopolamento delle campagne, che hanno offerto i «cugini» domestici con cui accoppiarsi sfruttando al massimo il loro potenziale riproduttivo.
Il risultato è che nella storia recente, ossia negli ultimi trent’anni, la popolazione bresciana di cinghiali ha assunto decisamente nuovi contorni. Una crescita costante che va di pari passo con quella del numero di cacciatori che si dedica a questa specie: se nell’88 gli autorizzati era 279, nel 2019 abbiamo sforato quota 4.500. «I vincoli sulla caccia ad altre specie sono aumentati notevolmente - spiega Cristian, cacciatore di un gruppo di Nave -. Per questo in tanti si sono buttati sul cinghiale».
Di pari passo, è cresciuta negli anni anche la superficie del territorio in cui è possibile cacciare l’ungulato: a fine anni Ottanta gli ettari erano poco meno di 18mila, nel 2014 siamo arrivati a quota 83.899 (il 18,6% del totale del territorio provinciale) organizzati in nove zone tra ambiti territoriali di caccia e comprensori alpini.
Per cercare di trovare un equilibrio tra la presenza di cinghiali e la volontà dei cacciatori, negli sono stati stabiliti piani di abbattimento, ma, secondo i dati forniti da Regione Lombardia, prima dello scorso anno era stata raggiunta la soglia dell’80% di prelievi, indice di una «buona gestione venatoria», solo nel 2007.
«Nel corso del 2020 si completerà l’applicazione della normativa regionale del 2017 - dice l’assessore alla caccia al Pirellone, il bresciano Fabio Rolfi -: la novità principale sarà l’istituzione di un piano di gestione quinquinnale». Il sistema, ad oggi, prevede infatti che di anno in anno, in base alla stima dei cinghiali presenti, venga indicato un numero massimo di prelievi. «Nelle zone non idonee alla presenza del cinghiale dovremo arrivare all’eradicazione - continua Rolfi -, mentre nelle zone vocate alla caccia il problema è gestionale».
E qui si torna alla questione del censimento. «In Lombardia non c’è un approccio scientifico - dice Katia Impellittiere di Lac -: in altre province, per esempio, si utilizzano droni e telecamere (o fototrappole). Con numeri più certi sarebbe possibile anche stilare piani di controllo più affidabili». «La volontà di Regione Lombardia è studiare obiettivi sostenibili per il contenimento - spiega Rolfi - e per farlo ci affideremo sempre più spesso a tecnici faunistici di comprensori alpini e ambiti territoriali formati e con la giusta esperienza» per avere un’idea della presenza dei cinghiali sul territorio.
La situazione, comunque, sembra sfuggire di mano ciclicamente. A inizio degli anni Duemila i problemi più grossi li ebbe Lumezzane, poi fu la volta della Vallecamonica, dei monti tra il lago d’Iseo e della Valle Trompia. Il Garda e la Valsabbia sono invece una costante del difficile rapporto coi cinghiali.
Negli anni le normative sono cambiate, per stare al passo col crescente interesse dei cacciatori per la specie e per il proliferare dei cinghiali. Fino al 2014 è stata prediletta la braccata, dal 2015 invece è stata introdotto anche la forma di prelievo selettiva, in deroga ai calendari venatori.
Cristian, con la sua squadra, organizza le braccate. «Possiamo uscire solo il sabato e la domenica, tra ottobre e dicembre o tra novembre e gennaio - racconta -. Siamo in 61, ma in media a ogni uscita partecipano una quarantina di persone». La braccata si avvale dei cani, «in media 15 o 16, che possono essere liberati solo dopo le 8.30 anche se noi ci appostiamo prima per preparare la battuta».
Una tecnica, la braccata, «a cui stando alle linee guida Ispra quasi mai si dovrebbe ricorrere - dice Impellittiere -, perché i brachi si smembrano in altri gruppi che poi continuano a crescere in numero. È anche una questione sociale: spesso gli incidenti, come persone ferite o auto danneggiate, sono dovuti ad animali terrorizzati in fuga dai cani».
Il riferimento è al caso di Toscolano del dicembre scorso, quando una ragazza fu trovolta e ferita da un cinghiale. Senza dimenticare che nel 2015, a Iseo, un 72enne perse la vita dopo essere stato attaccato da uno di questi animali.
«Dovremmo prima avvalerci di metodi ecologici, come suggerisce Ispra», dicono ancora dalla Lac. Metodi ecologici che altro non sono che recinzioni normali o elettrificate, oppure dissuasori in prossimità delle strade. «Prima di stendere piani di contenimento, Ispra ci chiede misure di contenimento ecologico - conferma l’assessore Rolfi -: in alcuni casi siamo ricorsi alle gabbie, che possono funzionare in alcune zone, ma non sono efficaci, sono misure dispendiose e di certo non possono essere alternative al contenimento. Sicuramente, però, sono misure integrative».
Nel 2020, come detto, si completa l’entrata in vigore della nuova normativa regionale. Tra gli obiettivi, neanche a dirlo, c’è il raggiungimento di una popolazione dell’ungulato che sia sostenibile per il territorio. La stagione venatoria 2019/2020, secondo Regione Lombardia, «si è chiusa con un buon risultato», ossia il superamento della soglia dei mille capi abbattuti.
La strada per arrivare a una convivenza pacifica sembra però ancora lunga. «Paghiamo la miopia della gestione di Regione Lombardia e amministrazioni locale - tuona Katia Impellittiere -: il problema cinghiali non deve essere gestito da chi lo ha creato, ossia i cacciatori». «Potremmo studiare piano di contenimento più mirati - propone Cristian -, sia nel tempo che nelle aree. Potremmo controllare i territori non solo nelle settimane di caccia, ma anche durante il resto dell’anno indirizzando i cinghiali in alcune zone più idonee, lontane dai centri abitati. Il tutto ovviamente senza sparare».
Dal canto suo, la Regione, punta invece sui «selettori», introdotti del 2015, che si sommano a chi caccia con la braccata e ai «controllori», agenti di Polizia provinciale deputati a questo tipo di prelievo. La selezione è riservata a cacciatori abilitati, che nel corso dell’anno monitorano il territorio per studiare la presenza di cinghiali e poi, in quelle stesse zone censite, senza cani e con base in alcune postazione specifiche, prelevano solo determinate bestie.
«In futuro - spiega Rolfi - punturemo sempre più sulla caccia di selezione. Stiamo già lavorando a una nuova normativa per creare corsi specifici per il cinghiale, più snelli, semplici e accessibili, che non prevedano lo studio di tutti gli ungulati».
Che si arrivi presto a una convivenza pacifica se lo augurano soprattutto gli agricoltori. Non più tardi del novembre scorso Coldiretti ha organizzato un flash mob a Roma, davanti a Montecitorio, per ricordare che quando si parla di cinghiali si parla di emergenza: «In Lombardia - hanno ricordato gli agricoltori - solo nel 2018 si sono verificati 180 schianti a causa di questi animali».
«Non è più solo una questione di risarcimenti, ma è diventato un fatto di sicurezza delle persone che va affrontato con decisione. Serve agire in modo concertato tra Ministeri e Regioni, Province e Comuni e avviare un piano straordinario senza intralci amministrativi - aveva detto il presidente Ettore Prandini dal palco della manifestazione romana -. Bisogna rendere ancora più efficaci i piani di contenimento e allargare le maglie di intervento, altrimenti la questione è destinata a peggiorare».
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